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Condizione militare: non ci resta che piangere?

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Roma, 28 dic – (di Emilio Ammiraglia – Presidente Assodipro) Sono trascorsi 35 anni da quando i militari cominciarono a manifestare rumorosamente e pubblicamente la propria inquietudine per l’emarginazione sociale che pativano, per la scarsa considerazione istituzionale di cui godevano, per lo stato di arretratezza della loro condizione economica e non per ultimo per il disagio che vivevano a causa di un attempato militarismo che rendeva faticose le relazioni umane e professionali.

Condizioni dure che vennero segnalate con coraggio e lucidità da una generazione di militari che con sensibilità avvertì tutto il peso di una vicenda professionale lontana dagli standard (diritti e tutela del lavoro, dignità personale, sociale ed economica ecc..ecc…) che la cosiddetta società civile, nelle relazioni di lavoro aveva già metabolizzato.

E’ da quella condizione di emarginazione e sottosviluppo che prese il via la protesta nelle caserme che subito si riversò nelle piazze, con manifestazioni che interessarono le Istituzioni, i Partiti, i Sindacati, la Stampa e la Società.

Tutti (?) cominciarono a capire che la separatezza delle FF.AA e dei Corpi Armati dello Stato   dal contesto sociale era un problema serio ed  ineludibile, da affrontare con urgenza.

Non tutti, tuttavia, all’epoca furono all’altezza delle soluzioni da offrire al disagio segnalato dai militari. In tal senso, oggi, il tempo sembra essere trascorso invano.

Stereotipati atteggiamenti repressivi (congedi, trasferimenti, abbassamenti di qualifiche, punizioni e intimidazioni di ogni genere) provenienti da una impaurita e incattivita dirigenza militare, si scontrarono con le più sagge e prudenti valutazioni della politica che cominciò a fare il proprio lavoro misurandosi con le esigenze di riforma che necessitavano alla istituzione militare.

Dopo un lungo travaglio parlamentare arrivò la Legge 382/78 meglio nota come legge dei principi sulla disciplina militare che, nel depotenziare ogni tentativo autoritario di restaurazione e ogni focosa tentazione rivincista aprì le porte delle caserme favorendo l’ingresso della democrazie dei diritti e delle regole che tanti, troppi non conoscevano e non avevano mai vissuto e praticato.

A quella legge il Parlamento dell’epoca affidò il compito di innestare nella società militare i fondamentali diritti e le libertà costituzionali riguardanti la persona e le tutele della condizione professionale da emancipare attraverso il lavoro delle istituende RR.MM.

Si trattava di mettere al passo la società militare con i tempi e i progressi della società civile; occorreva aprire la palestra militare facendo in essa esercitare gli uomini all’uso degli attrezzi utili al loro benessere e a quello di una Istituzione che doveva rimodellarsi informando il proprio essere alle garanzie della Carta Costituzionale.

Occorreva dar respiro alla nuova legge favorendo lo sviluppo del progetto democratico che intendeva realizzare; occorreva un presidio permanente utile a vigilare affinché i lavori del cantiere militare procedessero coerentemente secondo le previsioni delineate dal legislatore. Tutto questo come è noto  non è stato.

A partire dagli anni 80, con l’entusiasmo di cui è capace chi è disposto ad impegnarsi per una causa nobile e giusta, molti militari già sensibili alla causa della democratizzazione delle FF.AA. entrarono a far parte delle RR.MM. pensando che l’aria nuova che finalmente si respirava nelle caserme avrebbe agevolato il proprio lavoro e quindi l’iter dei provvedimenti attesi dalla base rappresentata.

Chi aveva riposto incondizionata fiducia nello strumento rappresentativo si accorse presto che il lavoro prodotto (delibere, pareri, proposte e richieste) a tutto serviva fuorché a sanare le arretratezze avvertite; ogni spinta innovativa si infrangeva nel solito burocratico ….“prendo atto”;

ogni serio tentativo di dare efficacia al lavoro di tutela dei militari ed efficienza produttiva agli Organi di Rappresentanza veniva artatamente frenato se non palesemente ostacolato da chi stupidamente sentiva minata la propria autorità, che riteneva di ripristinare rendendo inoperosi gli uffici delle RR.MM.

Furono quelli gli anni in cui le speranze cominciarono a misurarsi con i limiti fisiologici dello strumento rappresentativo posto in essere dal legislatore che, nato carente degli attributi propri di un decente soggetto di tutela (indipendenza nei confronti della autorità pubblica, autonomia costitutiva, funzionale, gestionale e amministrativa) non poteva svolgere altro compito che non quello di una attività di tutela virtuale, divenendo quindi sterile e inefficace protagonista rispetto ai bisogni e ai diritti da assicurare alla collettività rappresentata.

Da anni per porre rimedio alle carenze costitutive delle RR.MM, nelle aule parlamentari langue un dibattito sulla ipotesi di riforma delle stesse che si ripropone sempre con la stessa stentorea sicumera capace del conio di accattivanti metafore da un lato  (la politica deve volare alto….occorre tendere l’arco al massimo delle possibilità (?) fermandoci alla soglia del sindacato……vogliamo riconoscere alle RR.MM. un ruolo di parte sociale) e gli sbarramenti ideologici posti in essere dalla casta conservatrice dall’altro.
Maggioranze politiche di entrambi gli schieramenti avvicendatesi al Governo tutto hanno prodotto fuorché quello che serviva ai militari o quello che ingannevolmente avevano loro promesso in prossimità di diverse campagne elettorali.

Insomma siamo ancora al vuoto incartato della propaganda, agli annunci, alla cosmesi delle proposte di legge che nel restare imbrigliate dentro uno scadente dibattito parlamentare, consumano la loro esistenza andando poi alla estinzione con il termine della legislatura di riferimento.

Emilio Ammiraglia – Presidente Associazione Solidarietà Diritto e Progresso

Intanto i problemi dei militari, i loro essenziali bisogni e le loro moderate aspettative restano lì ad interrogare le coscienze di chi dovrebbe intervenire con soluzioni concrete; previdenza integrativa, precariato, riordino dei ruoli, politiche alloggiative e maggiori diritti di tutela  sono questioni irrisolte che determinano il quadro di una mortificante condizione degli operatori.

Il problema dei suicidi nelle caserme e la  mancanza di programmazione nelle turnazioni di servizio dei CC meriterebbero ben altra attenzione e una più robusta capacità di intervento.

Nelle modalità di organizzazione dei turni di servizio dei CC, impiegati nelle stazioni territoriali, risiedono criticità  che  si scaricano sulla serenità e stabilità familiare di tanti addetti; gli elementari diritti civili  concernenti la facoltà di esercitare al meglio il ruolo di coniuge e genitore, incontrano nel loro esercizio i limiti di una condizione di impiego che difficilmente  ammette una programmazione almeno settimanale; da ciò lo stato di difficoltà dell’armonia familiare che si riverbera inoltre sulla serenità professionale.

Nel tentativo di smuovere   le acque dello stagnante dibattito parlamentare circa i temi di interesse dei militari sono stati costituiti di recente partiti politici che si prefiggono lo scopo di ottenere maggiori tutele professionali degli stessi e degli operatori della sicurezza e per ultimo, per iniziativa di parlamentari del PDL, già militari, è stata annunciata la costituzione di un coordinamento, una specie di lobby che dovrebbe anch’essa occuparsi proficuamente del benessere dei nostri soldati.

Iniziative importanti che aldilà delle fortune e dei risultati concreti che riusciranno ad ottenere testimoniano bene tre criticità:

  1. L’attuale Istituto delle RR.MM. è incapace di porre rimedio alle aspettative di tutela dei militari;
  2. Il bisogno di tutela dei militari ancorché ovattato dalla retorica di sistema che lo proclama garantito dalle RR.MM. e dai provvedimenti governativi, intercetta nuove soggettività che segnalano  anch’esse l’esigenza di reali attenzioni verso questa particolare sfera di lavoratori;
  3. Il lobbysmo annunciato, nel rendere evidente la scarsa incisività politica dei proponenti il coordinamento rispetto ai problemi dei militari, da un lato conferma la debolezza delle RR.MM , dall’altro segnala  che l’ordinaria attività parlamentare degli stessi (tutti appartenenti alla stessa area politica di riferimento)  si scontra con le politiche governative, che come si sa in tema di attenzione dei comparti Difesa e Sicurezza si appalesano principalmente nella riduzione delle risorse finanziarie.

Che a causa del  nostro ammalato sistema politico oggi si possa pensare che è a queste nuove soggettività che occorre guardare, ritenendole idonee a guarire i mali che affliggono la categoria, è altra cosa.

I Partiti come la storia insegna, nascono per portare nelle Istituzioni Rappresentative esigenze collettive che investono la generalità dei bisogni umani; nascono attraverso procedure fondative che si informano alle regole e ai metodi  della democrazia partecipativa. Diversamente da ciò siamo al partito del predellino.

I Partiti quindi  per loro natura  hanno l’aspirazione e la necessità di ottenere rappresentanza istituzionale perché è in quella sede che le istanze di cui sono portatori si confrontano per trasformarsi in provvedimenti utili.

Il Partito che nasce a tutela di una categoria sociale o di uno scopo esclusivo, diverso quindi dai partiti generalisti che conosciamo incontra, come la storia si incarica di ricordarci, due grossi limiti:

  1. l’appartenente ad una categoria professionale o sociale affida i propri bisogni materiali ad un soggetto di tutela abilitato alla contrattazione, quindi ad un sindacato o ad una associazione di categoria;
  2. chi propugna una esclusiva politica di scopo  sa o dovrebbe sapere  bene che i destinatari dell’opzione partitica messa in campo, appartenenti ad una categoria professionale o sociale, guardano anch’essi  e per fortuna  alla rappresentanza politica,  indirizzando il loro consenso verso chi è capace di interpretare complessivamente i bisogni del cittadino prima che quelli prossimi al proprio recinto di appartenenza.

E’ per questi “banali” motivi che i partiti di scopo incontrano la diffidenza dei cittadini che presto o tardi riporterà tutti con i piedi per terra.

Pensare infine che le istanze di cambiamento di cui si sono dichiarati portatori i neo costituiti partiti possano trovare soluzioni legislative attraverso il supporto trasversale di appartenenti a diversi partiti politici è una speranza che rasenta l’ingenuità che, ugualmente, presto o tardi si scontrerà con la crudezza della realtà.

Gli atti parlamentari e quindi ogni proposta di legge nascono, in linea generale, per iniziativa di un parlamentare o di un gruppo di parlamentari appartenenti tutti al medesimo partito politico.

E’ poi il dibattito in commissione che si incarica di riassumere (ma non sempre con successo) le diverse proposte in un unico testo da presentare all’aula parlamentare per la successiva approvazione.
E’ ipotizzabile quindi il formarsi di un provvedimento legislativo partorito dalla eterogenea appartenenza partitica? Forse.

E’ ipotizzabile poi il successo di uno straccio di iniziativa legislativa trasversale come quella che investe i diritti dei militari che sempre ha registrato distanze siderali  fra i diversi orientamenti politici?

Se queste riflessioni hanno un senso e se le stesse non saranno considerate il frutto di una attempata  visione delle liturgie politiche che caratterizzano il dibattito parlamentare, allora meglio si comprenderà che il tempo che abbiamo davanti deve essere utilizzato per ricostruire un tessuto unitario fra quanti continuano ancora a guardare alla condizione militare con la consapevolezza che essa è sempre un valido motivo di impegno che non ammette scorciatoie o suggestioni.

C’è bisogno in primo luogo di un minore  interessato protagonismo degli uomini pubblici che si professano impegnati per la causa degli elettori (questo a tutti i livelli rappresentativi); c’è bisogno di ritrovare luoghi, intenti, progettualità  e relazioni come elementi utili a superare la dispersione dei singoli impegni.

C’è bisogno di capire che  i singoli orticelli vanno messi in rete, assumendo a denominatore comune del prodotto di questa il frutto che nel mercato politico può trovare interessati acquirenti.
C’è bisogno di ricominciare daccapo, guardando con realismo il quadro dentro il quale  riteniamo di immergere la giustezza delle nostre ambizioni.

C’è bisogno in estrema sintesi che il riformismo torni ad ispirare realmente il lavoro di chi si professa a favore dei necessari cambiamenti.

C’è infine bisogno di capire che il coro delle voci che si levano a sostegno della causa dei diritti e dei bisogni dei militari è purtroppo l’unione di un aggregato che nello stesso momento canta motivi diversi, contribuendo in tal modo a farci ascoltare ragli d’asino piuttosto che piacevoli melodie.

A paradigma di quanto sopra affermato la fresca proroga del mandato delle RR.MM.; prorogate per il bene del popolo sovrano e nel rispetto delle regole che disciplinano il rapporto fra eletto ed elettore, o per rendere evidente la ricompensa a chi fedelmente, devotamente e lealmente ha servito la causa degli interessi della conservazione dello status quo?

Per capire meglio come e perché queste indecorose, antidemocratiche e incostituzionali vicende possano avvenire in un paese dove le Istituzioni traballano sotto i colpi della  nomenclatura  di casta, lontana dal  sovrano sentito sociale, una segnalazione ed un invito.

E’ ancora fresco di stampa il “Saggio sull’arte di strisciare”, un manualetto di poche illuminanti pagine, appena 19, dall’irrisorio costo di 4 €.

In esso l’autore, il barone Paul H.D. d’Holbach (tradotto in lingua da Emanuela Schiano Di Pepe) ci offre una chiave di interpretazione delle relazioni che intercorrono fra il Sovrano (il potere temporale, n.d.a.) e i cortigiani.

Il pensiero del barone d’Holbach, traslato ai nostri tempi, aiuta i lettori a comprendere al meglio quello che influenza il FARE del potere e ciò che esso lascia ai cortigiani come attenzione di benevolenza.

In cambio di questa attenzione i cortigiani riconoscenti, ripagano il Monarca (il potere temporale, n.d.a.) con la condiscendenza, l’assiduità, l’adulazione, la vigliaccheria; il saper barattare tali mercanzie in cambio di benevolenza è probabilmente il talento più utile a corte”.

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