Difesa

Documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sugli episodi di violenza e sulla qualità della vita nelle caserme delle Forze Armate approvato dalla Commissione


  1. Introduzione
  2. Gli episodi di violenza (in particolare, il fenomeno del “nonnismo”)
    1. Il quadro della disciplina vigente (la normativa penale)
    2. Le principali iniziative adottate
    3. La dimensione complessiva del fenomeno
    4. I problemi rilevati
    5. Le soluzioni prospettate
  3. La qualità della vita nelle caserme
    1. La definizione dell’argomento
    2. I problemi rilevati
    3. Le soluzioni prospettate

1. Introduzione

L’Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, della IV Commissione (Difesa), nella riunione del 14 settembre 1999, ha concordato sull’opportunità di svolgere un’indagine conoscitiva concernente gli episodi di violenza e la qualità della vita nelle caserme delle Forze armate, sulla quale è stata acquisita, ai sensi dell’articolo 144, comma 1, del regolamento, l’intesa con il Presidente della Camera. L’indagine conoscitiva è stata quindi deliberata dalla Commissione nella seduta del 16 settembre 1999 e si è avviata, con la prima audizione, il 22 settembre 1999. L’obiettivo dell’indagine, nelle intenzioni della Commissione, era sostanzialmente legato alla opportunità di valutare i problemi esistenti in relazione alle condizioni di vita nelle caserme, con particolare riferimento ai più recenti episodi di violenza ai danni di giovani militari di leva verificatisi presso strutture delle Forze armate, anche al fine di prospettare una serie di soluzioni a tali problemi. In questo quadro generale, la Commissione Difesa ha ritenuto che fosse un obiettivo prioritario per il Parlamento quello di conoscere in maniera approfondita le principali questioni sul tappeto, mediante una verifica dell’efficacia delle iniziative legislative ed amministrative già avviate per far fronte a tali questioni.Il tema dell’indagine conoscitiva svolta dalla Commissione, d’altra parte, non pone soltanto una importante questione di natura giuridica e amministrativa, ma anche un problema di ordine sociale di grande dimensione, atteso che il servizio svolto dai giovani cittadini presso le Forze armate coinvolge, per un verso, valori essenziali per lo stesso futuro della difesa e sicurezza nazionale, e, per altro verso, diritti fondamentali che fanno capo alla singola persona umana.Per consentire, dunque, al Parlamento di svolgere un ruolo di controllo su tali fenomeni, la Commissione ha promosso l’indagine conoscitiva, che ha favorito l’acquisizione di elementi informativi particolarmente significativi ed importanti spunti di riflessione. Le persone audite nell’ambito dell’indagine conoscitiva sono state complessivamente 30, nel corso di 8 sedute. Sono state svolte le audizioni del Ministro della difesa, del Capo di Stato maggiore della Difesa, del Capo di Stato maggiore dell’Esercito, del Capo di Stato maggiore della Marina, del Capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, dei membri della Commissione per la prevenzione e lo studio del fenomeno del “nonnismo”, del Segretario dell’Osservatorio permanente sulla qualità della vita nelle caserme (istituito presso lo Stato maggiore dell’Esercito), dei Procuratori militari della Repubblica presso i Tribunali di Padova e di Roma, dei rappresentanti del Consiglio centrale della rappresentanza militare (COCER-Interforze), dei rappresentanti delle associazioni dei genitori dei militari di leva e di vittime di episodi di violenza nelle caserme (ANGESOL e ANAVAFAF). L’indagine conoscitiva ha consentito alla Commissione, in primo luogo, di delineare il quadro normativo vigente e, inoltre, di verificare i problemi emersi e le possibili soluzioni attuabili per affrontare due temi, che, sia pur distinti, sono tra loro intimamente connessi: quello degli episodi di violenza nelle caserme e quello della qualità della vita nelle strutture delle Forze armate.Di tali aspetti si intende dar conto nelle prossime sezioni del documento.

2. Gli episodi di violenza (in particolare, il fenomeno del “nonnismo”)

2.1. Il quadro della disciplina vigente (la normativa penale)
Per quanto concerne il primo dei due profili oggetto dell’indagine conoscitiva, relativo ai comportamenti di sopraffazione e violenza nelle caserme, è evidente che questi comportamenti si configurano come violazioni sia dei diritti inalienabili della persona che dei principi della disciplina e dell’autorità militare. Tali episodi vengono comunemente definiti con il termine di “nonnismo” o, secondo alcuni soggetti auditi, con il termine di “bullismo”.Nel nostro ordinamento, non esiste una definizione giuridica autonoma del fenomeno sopra descritto, né all’interno del codice penale, né tanto meno all’interno del codice penale militare di pace. Un concetto di natura generale è quello che lo stesso codice penale militare di pace individua (articolo 43) con la definizione di violenza. L’articolo 43 sancisce infatti che, “agli effetti della legge penale militare, sotto la denominazione di violenza si comprendono l’omicidio (….), le lesioni personali, le percosse, i maltrattamenti, e qualsiasi tentativo di offendere con armi”.Per il resto, il codice medesimo disciplina specificamente le singole tipologie di reati, non contemplando, tuttavia, in maniera autonoma il compimento di “atti di nonnismo”. Sebbene l’elencazione non possa considerarsi esaustiva, si segnalano in particolare le seguenti disposizioni: l’intero Capo III del codice (articoli da 222 a 229), che disciplina i reati di percosse, lesioni personali, ingiuria, minacce, diffamazione; la requisizione arbitraria (articolo 133); l’abuso nelle requisizioni (articolo 134); la violenza contro un inferiore (articolo 195). Un caso particolare è inoltre costituito dall’articolo 209 del codice, che stabilisce alcuni principi in materia di duello tra militari, mettendolo in relazione alle pene stabilite per l’insubordinazione, l’abuso di autorità, l’omicidio o la lesione personale.Va infine ricordato che l’articolo 260, comma 2 del codice penale militare di pace prevede che per questa serie di reati, per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione fino a sei mesi (tra tali reati rientrano, pertanto, le fattispecie sopra evidenziate), i responsabili sono puniti “a richiesta del comandante del corpo o di altro ente superiore, da cui dipende il militare colpevole, o, se più sono i colpevoli e appartengono a corpi diversi o a forze armate diverse, dal comandante del corpo dal quale dipende il militare più elevato in grado, il superiore in comando o il più anziano”.

2.2. Le principali iniziative adottate
Per quanto riguarda il versante operativo, l’indagine conoscitiva ha potuto accertare che i vertici dell’istituzione militare ed il Governo hanno iniziato a perseguire, soprattuttonel corso dell’ultimo biennio, una specifica azione che unisce, all’osservazione e alla repressione, l’adozione di iniziative volte a prevenire il fenomeno della violenza nelle caserme anche attraverso l’analisi delle sue cause.
L’iniziativa di più vaste dimensioni è quella attuata dalla struttura maggiormente interessata, in termini numerici e quantitativi, dal fenomeno del “nonnismo”, lo Stato maggiore dell’Esercito, che nell’aprile 1998 ha incaricato una “Commissione di esperti” di approfondire la tematica del c.d. “nonnismo” in tutti i suoi aspetti, offrendo elementi per la prevenzione e la soluzione del problema delle condizioni di disagio e violenza all’interno delle caserme. La Commissione, composta sia da soggetti interni che da esperti esterni all’amministrazione, ha predisposto, al termine del suo lavoro (marzo 1999), una relazione conclusiva, che individua una serie di aspetti problematici e definisce soluzioni operative per affrontare la questione.Conseguenza di tale relazione è stata l’emanazione di una circolare da parte del Capo di Stato maggiore dell’Esercito, del 24 marzo 1999, che ha dettato una serie di direttive per contrastare il fenomeno della violenza nelle caserme.In particolare, con tale atto è stato istituito un “Osservatorio permanente sulla qualità della vita nelle caserme e sui disagi sofferti dal personale”, quale diretto organo di consulenza del Capo di Stato maggiore dell’Esercito. Tale organismo si avvale inoltre dell’attività di un “Numero Verde”. L’Osservatorio opera con compiti di monitoraggio, elaborazione ed analisi di tutte le informazioni relative ai casi di “nonnismo” verificatisi nell’ambito dell’Esercito. L’attenzione delle indagini è peraltro estesa alle condizioni oggettive che possano favorire o facilitare il fenomeno, al fine di potenziare le azioni di contrasto. Il monitoraggio avviene mediante segnalazioni dirette all’Osservatorio, da parte dei Reparti presso i quali si verificano gli episodi, corredate da una relazione dettagliata sull’evento.Inoltre, le eventuali notizie o segnalazioni sono raccolte tramite il citato “Numero Verde”, che provvede alla ricezione delle denunce di fatti rilevanti da parte dei singoli soggetti interessati. Il “Numero Verde” è gestito da militari di leva: qualsiasi problema segnalato viene seguito dallo stesso operatore che ha ricevuto la telefonata ed è lo stesso militare di leva a comunicarne gli esiti agli interessati. Con la circolare-direttiva del 24 marzo 1999 è stato inoltre predisposto un questionario finalizzato a rilevare informazioni sulla qualità della vita nelle caserme, che costituisce uno strumento informativo per lo stesso Osservatorio e conoscitivo per i vertici di ciascun ente o reparto. Sulla base dei dati del questionario, è stata successivamente predisposta una check-list per il controllo di qualità della direttiva stessa, anche al fine di misurare il grado di partecipazione e di motivazione della linea di comando.Nell’ambito dello Stato maggiore della difesa opera, inoltre, fin dal maggio 1998, un Osservatorio permanente sul nonnismo (OPN) con modalità e compiti analoghi a quello dell’esercito, ma rivolto verso tutte le situazioni di interesse delle tre Forze armate. Anche in tale organismo interforze, le segnalazioni pervengono direttamente dai reparti presso cui si sono verificati gli episodi, dettagliatamente documentate. Tali segnalazioni consentono al Capo di stato maggiore della difesa di disporre di dati sempre aggiornati che formano oggetto di una specifica relazione sul fenomeno, presentata attualmente al Ministro della difesa.Infine, lo stesso Ministro della Difesa, anche in seguito ad alcuni gravi episodi verificatisi nell’estate del 1999, ha riunito (il 9 settembre 1999) gli alti gradi militari, per impartire e rafforzare alcune direttive con l’obiettivo di contrastare il fenomeno del “nonnismo”. In particolare, il Ministro ha evidenziato 7 direttive di base da seguire presso le diverse sedi interessate (enti, reparti, etc.):

  1. garantire massimo spazio alle attività di informazione sulla tematica del nonnismo;
  2. promuovere tutti i servizi necessari per elevare la qualità della vita e dei servizi nelle caserme;
  3. agevolare e favorire il rapido inserimento dei giovani all’interno dei reparti, riducendo i motivi di conflitto tra i diversi scaglioni;
  4. curare la coscienza civica dei giovani alle armi, elevandone i valori già acquisiti (in particolare, solidarietà e rispetto);
  5. intensificare qualità e quantità dell’attività di controllo nelle strutture militari, specie nelle ore notturne, nei fine settimana e nei giorni festivi;
  6. intensificare i programmi di formazione culturale e professionale;
  7. reprimere ogni episodio di sopraffazione con provvedimenti tempestivi.

2.3. La dimensione complessiva del fenomeno
La Commissione ha unanimemente riconosciuto che il verificarsi di episodi di “nonnismo” nelle caserme costituisce un fenomeno di estrema gravità, nei cui confronti tutte le Forze armate, senza alcuna distinzione, sono tenute a confrontarsi con impegno e determinazione. Tale fenomeno, infatti, rappresenta un vulnus all’organizzazione di moderne e strutturate Forze armate, che non può avere alcuna valenza positiva e va, quindi, sradicato. Non bisogna infatti trascurare che il fenomeno del “nonnismo” rappresenta la palese violazione di una serie di principi di enorme rilievo.Esso è, in primo luogo, un fenomeno di sub-cultura, che lede i diritti dell’individuo ed i valori della persona umana. Come tale, il fenomeno rappresenta una vera e propria minaccia per i valori umani ed etici di una società che possa realmente definirsi democratica. Inoltre, il “nonnismo” costituisce un elemento di sovversione della stessa organizzazione delle Forze armate, minando la solidità dell’istituzione militare e alterando, in qualche misura, il sistema dei valori di riferimento dei giovani di leva. Esso tende infatti ad affiancare (o addirittura a sostituire) alla figura dell’ufficiale o del sottufficiale, quella del “soldato anziano”, che non ha alcun merito specifico se non quello, piuttosto casuale, dell’anzianità di servizio. La Commissione, nel corso dell’indagine, ha pertanto potuto verificare che il “nonnismo”, come pratica sociale all’interno delle strutture militari, si manifesta sostanzialmente nelle seguenti modalità:

  • esistenza di una gerarchia informale, basata sull’anzianità di servizio, che si sovrappone a quella ufficiale (tale gerarchia è generalmente più radicata quando esiste una netta distinzione tra scaglioni di arruolamento, meno radicata quando è basata su generici criteri di anzianità);
  • creazione di un sistema di poteri per i militari più vicini al congedo (i cosiddetti “nonni”) e di un meccanismo di obblighi, imposizioni e divieti a carico delle reclute che si trovano agli inizi del proprio servizio di leva;
  • compimento di un complesso di atti di sopraffazione, di costrizione e, talvolta, di violenza a danno delle reclute “giovani”, fino a giungere alla ritorsione ai danni di coloro che non rispettano le regole dettate dai “soldati anziani”.

Pertanto, l’aspetto di maggiore disvalore del nonnismo si deve cogliere nella prevaricazione fondata sulla maggiore anzianità di servizio, che ispira il compimento di atti di violenza, minaccia, ingiuria o, comunque non qualificabili penalmente, realizzati, a danno di un soggetto più giovane, da militari di pari grado o anche di grado superiore.Definito in questi termini il fenomeno, la Commissione ha ritenuto importante valutare anche i dati relativi alla sua effettiva estensione. Lo Statomaggiore della difesa, in tutto il 1998, ha registrato 268 casi di violenza qualificabili come episodi di “nonnismo”. Tali episodi hanno riguardato 391 militari di leva, di cui 375 denunciati all’autorità giudiziaria e 307 puniti disciplinarmente. Si ricorda in proposito che i dati relativi agli anni 1995, 1996 e 1997, precedenti alle iniziative messe in opera dagli Stati maggiori delle Forze armate, riportano rispettivamente 97, 85 e 99 casi denunciati. Per contro, considerando i dati definitivi del 1999, il computo complessivo si assesta su 122 casi (oltre il 50% in meno rispetto al 1998), coincisi con la denuncia all’autorità giudiziaria di 188 militari e la punizione di 109 militari. La tendenza è pertanto in regressione, anche considerando che, per il 1998, l’azione di sensibilizzazione sembrerebbe aver condotto ad un notevole aumento del numero di denunce: il dato relativo al 1999 sembra invece testimoniare una certa maggiore efficacia delle iniziative intraprese.Inoltre, sempre con riferimento al 1999, nel 46 per cento dei casi rilevati si è trattato di scherzo lieve, nel 9 per cento di scherzo grave, nel 7 per cento di violenza fisica lieve, nel 38 per cento di violenza fisica grave. Gli autori di questi atti sono esclusivamente soldati o caporali (o gradi equipollenti). Si evidenzia peraltro che la prevalenza di atti di nonnismo vede come autori militari con un basso livello di istruzione, tanto che nel 67,5% dei casi rilevati, tali atti sono stati compiuti da reclute con un titolo di studio non superiore alla licenza media. Passando ad una disaggregazione dei dati per Forza armata, l’elemento più rilevante riguarda l’Esercito, al cui interno sono stati accertati e sanzionati, per il 1998, complessivamente 235 episodi di “nonnismo”. Pertanto, i casi registrati nel 1998 nell’esercito rappresentano, facendo riferimento al numero di militari di leva incorporati, meno di 2 casi su 1.000 presenti. Nel 1998, inoltre, il numero delle denunce all’autorità giudiziaria di eventi attinenti comunque alla prevaricazione risulta pari a 285 casi. Nel 1999, al contrario, risultano soltanto 108 episodi, ossia poco meno della metà degli episodi rilevati nell’equivalente periodo dello scorso anno, con 150 militari denunciati e 71 puniti. Quanto alla Marina militare, negli ultimi tre anni sono stati formalmente rilevati soltanto 17 casi riconducibili ad episodi di “nonnismo”: 4 nel 1997, 11 nel 1998, 2 nel 1999 (con 7 militari denunciati e puniti). Tutti i casi sono stati denunciati all’autorità giudiziaria militare. In quattro casi, quelli più gravi, i comandanti hanno avanzato richiesta di procedimento penale. Dopo la diramazione di nuove disposizioni, che prevedono tra l’altro garanzia di massima tutela dell’eventuale vittima di atti di “nonnismo”, non è stato rilevato alcun incremento del fenomeno, neppure al Numero Verde in funzione presso l’ufficio generale del personale della Marina dal 1991 (in proposito, si ricorda che si tratta di un Numero Verde di carattere generale, non specificamente destinato al fenomeno del “nonnismo”, che dà informazioni ai militari ed è gestito da un impiegato civile). Va inoltre rilevato che nella realtà della Marina militare il nonnismo sembra manifestarsi per lo più negli enti di terra, dove soggetti già inclini alla violenza possono cogliere circostanze favorevoli per affermare la loro pseudo-superiorità con atti dispotici o aggressivi, a danno di altri militari meno anziani in servizio. Sulle navi, dove peraltro il numero di marinai di leva è contenuto nel 15-20 per cento del totale dell’equipaggio, vi sono alcuni fattori che tendono a ridurre i presupposti e rendono oggettivamente difficile l’atto di nonnismo.All’interno della Aeronautica militare, nel 1999 sono stati rilevati 12 casi di nonnismo, che hanno coinvolto 31 militari. I dati, che dimezzano sostanzialmente i valori del 1998 (23 casi, con 47 militari coinvolti), sembrerebbero avere un’estensione piuttosto limitata, spiegabile anche con il fatto che l’Aeronautica, a differenza delle altre Forze armate, si trova a gestire un numero di coscritti più ristretto. Lo stesso Capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, nel corso della sua audizione, ha affermato che il fenomeno del nonnismo, almeno per l’Aeronautica, appare di per sé poco significativo.Una annotazione aggiuntiva meritano infine i dati riguardanti l’attività del Numero Verde creato presso lo Stato maggiore dell’Esercito. Dall’istituzione del servizio al novembre 1999 (19 mesi), sono giunte circa 2.700 telefonate, 412 di militari (per lo più in servizio di leva) e circa 2.300 di varie persone. Tra queste telefonate, soltanto 57 attengono ad atti di prevaricazione: 22 sono risultate lamentele generiche o correlate a precisi episodi di nonnismo; 20, anonime, hanno consentito un effettivo riscontro presso i reparti, portando all’individuazione di precise responsabilità, che sono state perseguite; 15, non anonime, sono risultate attinenti a reali episodi di prevaricazione (questi casi sono stati oggetto di denuncia e di provvedimenti disciplinari). Va peraltro rilevato, in questa sede, che dati parzialmente difformi rispetto ai precedenti sono quelli forniti nella “Relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario”, presentata all’Assemblea generale della Corte militare di appello, il 27 gennaio 2000, dal Procuratore generale militare della Repubblica presso la stessa Corte militare di appello. Secondo tali dati, infatti, i reati originati da atti di “nonnismo”, di cui le Procure militari si sono occupate nel 1999, risultano complessivamente 861 (contro i 122 episodi rilevati dal Ministero della difesa). In particolare, ben 271 casi hanno riguardato ipotesi di lesioni personali (articolo 223 del codice militare di pace), anche se soltanto in 3 occasioni si è trattato di lesione grave o gravissima. Sono invece stati 144 i casi in cui è ricorsa l’ipotesi del reato di percosse (ai sensi dell’articolo 222). In proposito, occorre segnalare che il Ministro della difesa, nel corso della sua audizione, nell’osservare che l’aumento delle denunce è da considerarsi un effetto positivo della maggiore vigilanza operata dalle strutture militari, ha chiarito i tre motivi che sembrano stare all’origine di tale difformità:

  1. i dati censiti dalle procure militari si riferiscono alle denunce pervenute nel 1999, che tuttavia sono anche relative ad episodi avvenuti in anni precedenti;
  2. i dati delle procure, inoltre, si riferiscono a tutti i reati militari contro la persona e non ai soli episodi di “nonnismo” (e per di più ricomprendono anche l’Arma dei carabinieri e il Corpo della Guardia di finanza, che non rientrano nelle rilevazioni dell’Osservatorio permanente);
  3. infine, l’elemento di maggior discordanza risiede nel fatto che i dati delle procure riguardano i singoli reati, mentre i dati dell’Osservatorio riguardano gli episodi di “nonnismo”, che spesso coinvolgono più persone e per più reati (realizzando un effetto moltiplicativo dei reati complessivamente commessi).

2.4. I problemi rilevati
Un primo ordine di questioni rilevate nel corso dell’indagine conoscitiva ha riguardato l’inquadramento giuridico del fenomeno del “nonnismo” e, più in generale, degli episodi di violenza che si verificano all’interno delle strutture militari.Molti soggetti intervenuti nel corso delle audizioni hanno lamentato la mancanza di un inquadramento penale dei reati di “nonnismo”. A causa di tale lacuna normativa, infatti, diventa spesso impossibile punire in modo adeguato i responsabili dei reati commessi, anche perché la magistratura competente si trova generalmente a dover ricorrere, in tali occasioni, ad adattamenti interpretativi dei diversi reati previsti dal codice penale militare di pace.Ne consegue concretamente che le condotte ispirate al nonnismo, o vengono punite con pene assolutamente inadeguate (le stesse previste per reati non determinati da alcuna motivazione), o non possono essere in alcun modo perseguite in quanto la loro rilevanza non raggiunge la soglia minima del “penalmente apprezzabile”, o addirittura finiscono per rientrare nel reato comune – di competenza del giudice ordinario – di violenza privata, essendo perciò sottratte ad una pronta perseguibilità dinanzi agli organi della giustizia militare, per essere affidati alla cognizione della giustizia ordinaria, oberata dal lavoro e perciò spesso costretta a svalutare la specifica rilevanza di tali comportamenti. Un’ulteriore distorsione è costituita dal fatto che attualmente, per il mite trattamento sanzionatorio stabilito per le figure di reato previste – tutte punite con pena detentiva non superiore a sei mesi – la perseguibilità dei reati è subordinata esclusivamente alla richiesta del comandante di corpo (ai sensi dell’articolo 260, comma 2, del codice penale militare di pace), sicché la parte lesa è di fatto espropriata della facoltà di presentare querela. La vittima del reato, in altre parole, può ottenere la tutela delle proprie ragioni solo attraverso la volontà del comandante, il quale, nell’ottica del codice, deve valutare preminentemente l’interesse militare, posponendovi eventualmente quello della parte lesa, che si deve perciò attenere a tale insindacabile decisione. E’ di tutta evidenza che l’impianto del codice risponde a valutazioni obsolete e non più condivise da gran parte della collettività, che giudica ormai superata l’idea di una separatezza delle regole giuridiche del mondo militare rispetto a quello civile. Connesso a tale ultimo profilo, vi è inoltre il problema della mancanza di un referente unitario del controllo giudiziario della vita di caserma. Tutto quello che ha a che fare con il diritto penale, infatti, è attualmente compreso in parte nel codice penale militare di pace e in parte nel codice penale comune, così come il controllo giudiziario della vita di caserma era affidato, fino a poco tempo fa, prima dell’istituzione del giudice unico, alla procura presso la pretura, alla procura presso il tribunale e alla procura militare, senza che tra le tre sfere di competenza ci fosse una linea di demarcazione razionale. Quindi, il sistema presenta degli scollamenti, delle antinomie, delle contraddizioni: si pensi ad esempio che, fino a quando i fatti penalmente rilevanti commessi da un militare nei confronti di altro militare pari-grado si traducono in percosse o lesioni personali, la competenza è dell’autorità giudiziaria militare; quando arrivano all’omicidio, o anche semplicemente all’estorsione o al sequestro di persona, la competenza passa all’autorità giudiziaria ordinaria. Come è facile notare, si tratta di contesto normativo alquanto complesso, che peraltro non esaurisce l’intero ambito di questioni esistenti sul tappeto. Infatti, l’indagine svolta dalla Commissione ha consentito altresì di individuare tutta una serie di ulteriori profili, di natura organizzativa, sociale ed ambientale, che contribuiscono alla proliferazione di episodi di violenza e prevaricazione all’interno delle strutture delle Forze armate. Tali problematiche sono state segnalate, oltre che dagli stessi vertici militari, anche dagli esperti esterni all’amministrazione della difesa, nonché dai rappresentanti delle associazioni delle famiglie delle vittime e dai Consigli della rappresentanza militare delle diverse Forze armate. Una prima valutazione, emersa in diversi interventi, riguarda il livello di trasparenza delle stesse Forze armate: secondo alcuni, infatti, le strutture militari sarebbero ancora troppo chiuse nei confronti del mondo esterno e poco attente ai profondi cambiamenti evolutivi intervenuti nella società contemporanea e, in particolare, all’interno dell’universo giovanile. Si tratta di riflessioni che fanno riferimento anche ad una sorta di disagio psicologico diffuso nella società contemporanea che, entrando in contatto con una realtà difficile e, per certi versi, impermeabile come quella militare, tende a riverberarsi all’interno delle caserme. Un altro aspetto di assoluto interesse, che andrebbe valutato con particolare prudenza, riguarda poi la definizione, fornita da più soggetti auditi, del “nonnismo” come elemento indiretto di ordine all’interno delle caserme. In sostanza, da parte di alcuni è stato affermato che la gerarchia insita nel fenomeno del “nonnismo” sarebbe comunque una garanzia di mantenimento dell’ordine nelle strutture militari e, come tale, sarebbe accettata (purché non raggiunga livelli patologici) dagli stessi responsabili delle caserme. Contro questa impostazione, si è affermato che, sebbene sia teoricamente possibile che gli interessi di fondo coincidano, tuttavia il “nonnismo” costituisce comunque una forma di “contro-potere” rispetto alla gerarchia militare, che viene scardinata e sostituita da forme gerarchiche anomale. Va peraltro sottolineato che la Commissione ha potuto rilevare anche elementi di critica, sollevati da diversi soggetti intervenuti nel corso delle audizioni, in relazione alle capacità di comando che fanno capo ai responsabili operanti ai vari livelli all’interno delle caserme. Si è in sostanza affermato che sarebbe piuttosto carente, soprattutto ai livelli più bassi di comando, la propensione ad esercitare una reale funzione direttiva e gerarchica.Un ulteriore punto critico riguarda poi le misure di prevenzione concretamente adottate contro i fenomeni di violenza nelle caserme. In tal senso, è stato sottolineato come, anche per mancanza di incentivi di natura economica, si tenda, soprattutto negli ultimi anni, ad una riduzione della copertura oraria degli ordinari servizi di controllo e sorveglianza all’interno delle caserme (che sarebbero tendenzialmente garantiti in misura sufficiente nei soli giorni feriali e, di norma, fino alle 16,30). Soprattutto nelle ore notturne, dunque, vi sono maggiori probabilità di proliferazione di episodi di violenza e prevaricazione che, in assenza di un congruo servizio di sorveglianza, possono trovare terreno fertile tra i militari più anziani. Altro elemento problematico è poi costituito dalla relativa impreparazione di molti giovani alla vita militare e dalla carenza di una loro informazione e formazione costanti. Sono profili tra loro connessi e complementari, che riguardano la scarsità di nozioni fornite ai giovani che si avvicinano al mondo militare, i quali, spesso, conoscono soltanto alcuni aspetti, talvolta marginali, della vita di caserma. Strettamente collegato a tale profilo è poi quello, segnalato da molti soggetti auditi, della mancanza di una specifica educazione civica in buona parte dei giovani che si avvicinano al mondo militare: tale dato contribuirebbe a ridurre la coscienza che ha il singolo cittadino di svolgere un servizio a vantaggio dell’intera collettività. Ulteriori problemi sono stati sollevati, infine, con riferimento agli aspetti più direttamente attinenti alle modalità di manifestazione dei fenomeni di violenza nelle caserme. In particolare, sono stati individuati i seguenti profili patologici: difficoltà di contenere nell’ambito della semplice “goliardia” il rituale di scherzi e di atti che sono connessi alla convivenza di più persone all’interno delle caserme. Da atti goliardici, infatti, essi tendono generalmente a sfociare in ingiuste prevaricazioni e soprusi, che poco hanno a che vedere con gli aspetti ludici e scherzosi della vita in comune tra commilitoni; inesistenza di soggetti, esterni all’amministrazione della difesa, che siano in grado di proteggere concretamente i giovani sottoposti ad atti di nonnismo. Può infatti accadere che i giovani costretti a subire le violenze non trovino adeguata tutela all’interno delle caserme, da parte dei livelli più bassi di comando, che, invece di rendere noti ai livelli superiori gli atti di nonnismo, possono tendere talvolta a minimizzarli o ad impedirne materialmente la denuncia; scarso coinvolgimento degli organi di rappresentanza sindacale nella attività di prevenzione. Alcuni rappresentanti del Consiglio centrale della rappresentanza militare (COCER-Interforze) hanno lamentato, in sede di audizione in Commissione, le difficoltà ad intervenire in modo incisivo sui problemi legati alla diffusione del fenomeno del nonnismo nelle strutture delle Forze armate.

2.5. Le soluzioni prospettate
Di fronte alle questioni sorte nel corso dell’indagine conoscitiva, una prima serie di proposte ha riguardato il versante giuridico e le connesse possibili riforme della normativa in materia penale. In particolare si ritiene necessario, da parte di alcuni, che il fenomeno del nonnismo trovi una regolamentazione penale differenziata rispetto alle altre fattispecie previste dall’attuale normativa, stabilendo che il compimento di atti di nonnismo sia punito in modo specifico, o come figura di reato a sé, o come circostanza aggravante. Andrebbe pertanto verificata la praticabilità di una modifica dell’attuale quadro normativo, che fornisca il necessario strumento penale per la repressione di comportamenti improntati a nonnismo. A tale riguardo, sono state proposte due soluzioni alternative: la prima soluzione ritiene auspicabile un intervento additivo, che configuri un autonomo reato di “nonnismo”, il quale dovrebbe operare sul codice penale militare (nella forma della novella legislativa), mediante l’aggiunta di uno o più articoli nel capo dei reati contro la persona (articoli 222 e seguenti del codice penale militare di pace). L’inserimento nel corpo del codice consentirebbe di qualificare le nuove figure come reato militare, secondo la nozione estremamente formale fornita dall’articolo 37 del codice penale militare di pace, e nel contempo garantirebbe l’applicazione anche a tali nuovi reati delle disposizioni generali del codice penale militare, in un’ottica di organicità e coerenza del sistema. La nuova norma, nel qualificare il reato, dovrebbe essere formulata nel senso di prevedere che ricorre il “nonnismo” in tutti i casi in cui il militare, che offende altro militare, si avvale della forza intimidatrice derivante dalla maggiore anzianità di servizio; l’impostazione alternativa propone invece una modifica del codice penale militare di pace, nel senso di sancire, pur senza alcun riferimento esplicito agli atti di “nonnismo”, una sorta di “militarizzazione” del reato di violenza privata, con l’inserimento nel codice penale militare di tale nuova figura, analogamente a quanto avviene per il codice penale comune, prima del reato di minaccia (articolo 229 del codice penale militare di pace). La modifica dovrebbe prevedere che il militare che, con violenza o minaccia o con abuso del grado o della maggiore anzianità in servizio, costringe altro militare a fare, tollerare o omettere qualcosa, sia punito con la reclusione militare. Dovrebbe peraltro essere prevista, accanto alla norma generale, un’aggravante facoltativa, da applicarsi su valutazione del giudice, in considerazione della gravità in concreto del fatto e della sostanziale plurioffensività del reato militare. Secondo i sostenitori di tale proposta, la prospettata soluzione sarebbe preferibile, in quanto non implicherebbe la cristallizzazione normativa della nozione di “atti di nonnismo”, ma lascerebbe alla giurisprudenza il compito di individuare le fattispecie concrete di nonnismo rilevanti penalmente, discriminando – compito di non facile portata – i comportamenti di cosiddetta “goliardia”, ammissibili e tollerabili anche nella vita militare, dagli atti di prevaricazione tout court, meritevoli di essere sanzionati penalmente.
Va inoltre segnalato che, con riferimento ad e ntrambe le soluzioni, è stata comunque rilevata, da più parti, l’assoluta opportunità di inserire un’aggravante speciale consistente nel compimento del fatto da parte di più militari riuniti, in quanto tale circostanza concretizza una forte soggezione del soggetto debole e rende, in definitiva, maggiormente anti-giuridico il fatto stesso. Vi è poi la questione relativa all’articolo 260 del codice penale militare di pace, che prevede la procedibilità dei reati solo su segnalazione del comandante di corpo. Su tale argomento sono state presentate, di recente, diverse proposte di iniziativa parlamentare (nonché una proposta avanzata dal Consiglio della magistratura militare), che sembrano prospettare una duplice soluzione: una prima ipotesi prospetta l’idea di modificare radicalmente la disposizione di cui all’articolo 260, prevedendo che l’azione giudiziaria sia procedibile d’ufficio o, comunque, a richiesta del soggetto o dei soggetti lesi; un’altra ipotesi, invece, prevede di integrare l’attuale formulazione dell’articolo 260, aggiungendo, in via alternativa, alla richiesta di procedimento da parte del comandante, la condizione di procedibilità costituita dalla querela del soggetto leso.
Entrambe le soluzioni prospettate sembrerebbero idonee a colmare una evidente lacuna dell’ordinamento, che si era evidenziata già da diversi anni, allorché l’istituto della richiesta di procedimento era stato portato al vaglio della Corte costituzionale per la ritenuta illegittimità, con la sola notazione che sembrerebbe eccessivo stabilire la procedibilità d’ufficio anche per fatti cosiddetti “bagattellari” (quali ingiurie tra pari grado e simili), che ben possono sottostare alla decisione della parte di volere o meno la punibilità penale. Infine, sempre dal punto di vista giuridico, è stata prospettata una soluzione di natura organizzativa, che consiste nella complessiva razionalizzazione del sistema della giurisdizione militare, che, nella sua attuale configurazione, comporta il verificarsi di una serie di problemi (emersi anche in sede di Commissione bicamerale per la revisione della Costituzione, in cui si è svolto un dibattito sul futuro delle giurisdizioni speciali in genere e della giurisdizione penale militare in particolare). Tale intervento di razionalizzazione, attuabile anche mediante un ampliamento della nozione di reato militare prevista dall’articolo 37 del codice penale militare di pace, consentirebbe di risolvere le antinomie esistenti, che sono non solo negative dal punto di vista della completezza e della razionalità del sistema, ma in qualche caso addirittura foriere di confusione, proprio perché si registra una polverizzazione di interventi tra autorità giudiziarie (militare e ordinaria), che certamente rende meno incisivo l’intervento della giustizia in un settore così delicato. Passando al versante delle soluzioni di natura operativa, sono stati prospettati alla Commissione diversi interventi, per lo più di natura non legislativa, che vengono di seguito illustrati. In linea generale, si è proposto di favorire, per tutte le Forze armate, un processo di maggiore apertura verso l’esterno delle istituzioni militari. Si tratta, in sostanza, di ridurre quella che è stata definita una sorta di “opacità” dell’istituzione militare, che fa sì che essa appaia ai cittadini come un qualcosa di separato, che si contraddistingue anche per luoghi fisici chiaramente delimitati.L’istituzione militare avrebbe bisogno di quello che è stato efficacemente definito un “intervento di marketing sociale”, che la collochi su posizioni di apertura più prossime alla collettività nazionale. In questo quadro, i fenomeni di nonnismo non possono e non debbono essere tollerati dal mondo militare, neanche nell’accezione, che si è in precedenza individuata, di “sotto-forma” di ordine gerarchico all’interno delle caserme. Il principio di gerarchia insito nell’istituzione militare, infatti, non può essere scardinato da forme “fittizie” di ordine gerarchico, basate su regole e principi non condivisi.E’ a tal fine opportuno, secondo quanto segnalato da molti intervenuti, garantire un significativo aumento del controllo nelle strutture delle Forze armate, rafforzando ogni possibile forma di sorveglianza nelle caserme, che miri alla efficace prevenzione dei fenomeni di violenza e, se del caso, alla loro tempestiva repressione. Il raggiungimento di tale obiettivo è possibile, non soltanto con la concessione di incentivi ed indennità di natura economica al personale destinato alla sorveglianza, ma anche con una razionalizzazione dei turni di presenza nelle caserme e con l’introduzione di meccanismi di flessibilità nell’orario di lavoro.
Ciò potrebbe avvenire, ad esempio, prevedendo controlli a sorpresa o senza preavviso, in tutte le ore (anche notturne) all’interno delle caserme, nonché creando una specie di “codice di auto-disciplina” per i comandanti di caserma che devono sorvegliare e garantire le condizioni di vita di tutti i militari. Va poi lanciata una potente campagna di informazione e di formazione per i giovani che si avviano al servizio militare. I canali che vengono utilizzati per dare possibilità alle giovani reclute di apprendere modalità, regole, costumi e consuetudini all’interno della caserma (o eventualmente sapere a chi rivolgersi quando ci sono problemi di qualsiasi tipo) sono palesemente insufficienti. La figura del consigliere militare o quella del cappellano, ad esempio, presentano una serie di limiti evidenti, essendo molto dubbio che queste siano le figure più adatte a raccogliere eventuali richieste o lamentele, nonché a cogliere il clima che si è instaurato all’interno di una struttura. Secondo quanto emerso nel corso dell’indagine, dunque, una iniziativa di rilancio del sistema di informazione può essere condotta su due distinti versanti: formazione interna, nel senso di creare figure in grado di istruire il militare alla vita di caserma, rafforzarne la preparazione specifica, accrescere il grado di educazione civica al servizio della collettività, aumentarne le conoscenze sui valori costituzionali e su quelli fondamentali della nostra società, sensibilizzarlo alle impegnative trasformazioni in atto nel mondo militare (missioni internazionali, volontariato, etc.); comunicazione esterna, intervenendo su tutti i livelli di informazione, al fine di far comprendere, a chi si presenta in caserma, cos’è il fenomeno del nonnismo e come combatterlo in concreto. Tali iniziative potrebbero essere accompagnate dalla diffusione sui giornali, o dalla trasmissione a livello televisivo nazionale, di spot pubblicitari, che contribuiscano a sviluppare un giudizio negativo del fenomeno, non solo all’interno delle caserme, ma anche nell’intero tessuto sociale.
Sul versante operativo, inoltre, occorre che i responsabili della catena di comando sappiano fissare, con la giusta flessibilità, una netta e invalicabile linea di demarcazione tra goliardia e nonnismo. Pur tollerando un certo spazio per gli aspetti ludici della vita di caserma, che possono anche rappresentare momenti di rilassamento e serenità tra i commilitoni, è infatti necessario che non si travalichi quel confine che, il più delle volte, comporta l’esplosione di gravi fenomeni di violenza e prevaricazione. Da tutti o quasi i soggetti intervenuti nel corso dell’indagine, è inoltre considerata altamente auspicabile l’adozione di un provvedimento, preferibilmente di natura legislativa, che preveda l’istituzione di un “garante” o di un “difensore civico” dei militari di leva. Il ruolo di garante dovrebbe essere ricoperto da un soggetto esterno all’amministrazione della difesa, dunque non incardinato nello Stato maggiore della difesa o delle diverse Forze armate, con caratteristiche di indipendenza e imparzialità e con compiti di raccolta delle segnalazioni provenienti dai giovani che subiscono atti di nonnismo o di violenza in generale. In proposito, si ricorda che è attualmente all’esame della Commissione Difesa della Camera il testo unificato di varie proposte di legge (A.C. 345 e abb.), finalizzato a introdurre modifiche alla legislazione vigente in materia di leva, il cui articolo 10 prevede l’istituzione del Garante per la tutela dei cittadini che prestano servizio di leva. Tale norma potrebbe essere rivista e migliorata nel corso dell’esame in Commissione, cogliendo gli opportuni suggerimenti avanzati nelle audizioni.Un ulteriore elemento di prevenzione dei fenomeni di violenza nelle caserme delle Forze armate può inoltre essere costituito dal rafforzamento degli organi di rappresentanza, i quali rappresentano un istituto fortemente democratico, che ha costituito un’innovazione di impatto molto rilevante dal punto di vista simbolico sulla vita militare, quando fu creato alla fine degli anni settanta. Si tratta tuttavia di un istituto che è stato spesso svuotato di efficacia e, in taluni casi estremi, addirittura piegato all’interno di modalità di esercizio del nonnismo. La partecipazione agli organi di rappresentanza, talvolta, non è un compito che si esercita attraverso una consapevolezza del valore democratico di questa funzione, e lo si assume mediante modalità di elezione che si svolgono rapidamente e informalmente, e attraverso procedure spesso puramente burocratiche. In tal senso, è apparso opportuno a molti segnalare l’esigenza di un rafforzamento di tali organismi, nel quadro di una revisione complessiva dei processi legislativi in atto. Infine, è stato proposta, da parte di alcuni soggetti auditi, la adozione di uno “Statuto dei diritti del soldato”, che dovrebbe garantire il rispetto di una serie di requisiti minimi a favore dei giovani militari, con particolare riferimento alla possibilità di istituire, all’interno di ogni caserma, servizi psicologici e psichiatrici, non soltanto per i soldati di leva, ma anche per sottufficiali e ufficiali, che dovrebbero controllarli.


3. La qualità della vita nelle caserme

3.1. La definizione dell’argomento
La Commissione, nel corso dell’indagine, ha potuto rafforzare il convincimento che la soluzione ai problemi della violenza nelle strutture delle Forze armate è strettamente collegata e, per certi versi, non può prescindere, dall’obiettivo del miglioramento della qualità della vita nelle caserme. Le Forze armate necessitano, infatti, di una radicale trasformazione organizzativa, di una sorta di riconversione, passando da una “produzione di massa” di forze umane soltanto potenzialmente operative, ancorate ai confini nazionali ed impiegabili dopo un congruo tempo di mobilitazione, ad una produzione di moduli operativi, impiegabili in contesti multinazionali, imperniati su unità permanentemente addestrate. Questo è un processo molto impegnativo, che richiede un lungo periodo di lavoro, con sforzi organizzativi da condurre in diversi settori. In sostanza, è indispensabile investire sulla qualità delle condizioni generali di vita nelle strutture delle Forze armate. Come rilevato nel corso delle audizioni svolte, infatti, vi sono su questo versante seri problemi, che abbracciano più settori:

  1. esiste un problema di insufficiente ammodernamento degli equipaggiamenti, dei sistemi e dei mezzi e materiali utilizzati da chi vive giornalmente nelle strutture militari;
  2. si registra una assoluta carenza di strutture per soddisfare le nuove esigenze funzionali (ad esempio, mancano aree addestrative di moderna concezione: ampie aree di insediamento, dotate di strutture ad avanzata tecnologia, dove devono vivere stabilmente i militari anche con le famiglie, con conseguenti problemi di urbanizzazione, di interazione con il tessuto sociale, quindi, di qualità della vita);
  3. è difficile giungere alla definizione di una precisa politica di gestione della vita militare, che consenta la configurazione di linee programmatiche che rispondano a criteri di sostenibilità del servizio militare, con particolare riferimento alla vita all’interno delle caserme (nonché, in stretta connessione con tale aspetto di qualità della vita, alla possibilità di poter interrompere periodicamente il servizio di leva, per riacquisire i contatti con le proprie famiglie o con i luoghi di residenza).

In questo contesto, l’attenzione della Commissione si è concentrata su alcuni aspetti della qualità della vita nelle nostre caserme, anche al fine di valutare le iniziative già avviate presso le Forze armate.

3.2. I problemi rilevati
In primo luogo, si è potuto rilevare che all’Osservatorio permanente, costituito presso lo Stato maggiore dell’Esercito, è già stato affidato il compito di studiare, proporre ed utilizzare gli strumenti più efficaci per monitorare la qualità della vita nelle caserme. In particolare, l’Osservatorio ha ritenuto di rendere operativo un “questionario sulla qualità della vita”, finalizzato a verificare i profili attinenti alle condizioni in cui i giovani di leva svolgono il servizio militare. Dopo un’attività sperimentale, finalizzata alla stesura definitiva del questionario e all’ottimizzazione delle modalità di gestione, sono stati trasmessi, al novembre 1999, 1.544 questionari presso 16 unità. I risultati, immessi in un “data base” presso il centro elaborazione dati dell’Esercito, sono stati consegnati ai responsabili dello studio, che provvederanno alla loro analisi ed alla stesura del rapporto finale. Il gruppo preposto alla predisposizione del questionario ha anche valutato presso i reparti interessati il grado di conoscenza e di compartecipazione del personale relativi alla direttiva permanente del marzo 1999, più volte citata. Inoltre, l’Esercito sta perseguendo alcuni specifici programmi nei diversi settori. Le attività individuate per assicurare un soddisfacente standard delle condizioni di vita riguardano i seguenti aspetti: infrastrutture, per quanto attiene alla ripartizione ed organizzazione degli spazi nonché delle funzionalità e dei servizi offerti, anche al fine di rendere le disponibilità abitative pienamente funzionali ed idonee ad ospitare reparti a prevalente componente professionale; casermaggio e sistemazione degli alloggiamenti, con particolare riguardo alla composizione ed alla qualità delle serie di mobili, ai servizi forniti nelle infrastrutture per quanto attiene alla pulizia dei locali ed al loro mantenimento in efficienza; dotazione di impianti sportivi moderni ed adeguati allo svolgimento delle attività sportive per il mantenimento degli indispensabili standard di efficienza fisica, ma anche per offrire idonee strutture per il tempo libero; strutture ricreative interne; vettovagliamento, inteso come miglioramento della qualità del confezionamento, degli ambienti e delle modalità di distribuzione nonché le indispensabili alternative alla razione viveri; vestiario ed equipaggiamento, intesi come numero e tipo dei capi in distribuzione, tipologia e qualità dei tessuti e materiali; normative di servizio, in merito alla definizione di aspetti in materia di orari, permessi e licenze, viaggi, turni, facoltà concesse; trattamento economico accessorio, quali indennità, compensazioni, rimborsi; provvidenze, intese come forme di tutela e di incentivazione del personale.Quanto alla Marina militare, è stato segnalato che essa dispone di un parco di edifici destinati ad alloggi per il personale che, per la maggior parte, risale agli anni cinquanta e risponde agli standard di allora. Inoltre, per assicurare la presenza della Marina lungo le coste, sono stati dislocati nelle principali località di mare piccoli nuclei di uomini, anche di leva. Sono circa 220 uffici marittimi minori (Locamare e Delemare) collocati in edifici che, in qualche caso, non consentono di offrire al marinaio sistemazioni decorose. Da un esame del parco alloggi destinato al personale di leva della Marina (15 mila uomini, compresi i militari in ferma breve), si constata che 3 mila 500 giovani circa sono sistemati in strutture di capienza inferiore a 100 unità; gli altri 11 mila 500 sono alloggiati in caserme capaci di accogliere più di 100 unità; tra queste, la maggior parte hanno una capacità di accogliere una forza media compresa tra 130 e 170 marinai di leva, sistemati in camere da 8-10 posti letto con servizi igienici annessi. Delle caserme destinate ad alloggiare il personale di leva almeno il 30 per cento richiede urgenti lavori di ristrutturazione e adeguamento agli standard moderni. Il restante 70 per cento può essere considerato rispondente a tali standard, a meno di modesti interventi di adeguamento e della normale manutenzione.
A bordo delle navi la situazione è ancor più delicata. La qualità degli alloggi e il livello dei comfort varia molto in funzione delle dimensioni dell’unità, dell’anno di costruzione, dei vincoli costruttivi, dello spazio destinato agli alloggi (mediamente lo spazio personale a bordo di una nave è molto scarso e sui sommergibili è ancora più ristretto), ai locali mensa e di riunione, limitati dai volumi destinati all’armamento e agli apparati. La vita a bordo resta quindi più disagiata di quella nelle caserme, perché la ristrettezza degli spazi, la densità di popolazione, il rumore di fondo dei macchinari, la mobilità della nave, continuano ad essere caratteristiche non eliminabili della destinazione su un’unità della squadra navale.
Per quanto concerne, infine, l’Aeronautica militare, si è potuto rilevare che i problemi di qualità della vita hanno caratteristiche parzialmente differenti rispetto alle altre Forze armate. Ad esempio, negli aeroporti militari vi sono spazi sufficienti e, soprattutto quelli più attrezzati, hanno alloggi per il personale che resta all’interno della base. Inoltre, l’Aeronautica sta costantemente riuscendo ad incrementare la percentuale di personale di leva impiegato in enti vicini al comune di residenza (attualmente circa l’80 per cento del personale di leva che presta servizio vive nel comune di residenza; negli altri casi, i giovani prestano servizio per tre o quattro mesi in basi più distanti, per poi essere alternati). Per quanto riguarda il miglioramento della logistica dei servizi e, in termini più generali, della qualità vita nei reparti, l’Aeronautica sta peraltro cercando di ristrutturare e razionalizzare le infrastrutture di supporto logistico e la gestione dei servizi includendo, ove possibile, ausili multimediali.
Un problema ulteriore, emerso nel corso dell’indagine e che interessa tutte le Forze armate, è poi quello relativo all’uso di droghe o sostanze stupefacenti da parte dei giovani militari di leva. Il Capo di Stato maggiore dell’Esercito ha riconosciuto l’esistenza di un problema-droga, che costituisce un fenomeno difficilmente controllabile: il rafforzamento dei controlli all’interno, nonché all’entrata e all’uscita dalle caserme, non è sufficiente a garantire una limitazione significativa del fenomeno. Su questi temi, l’Esercito ha raggiunto nel 1997 un accordo con l’Arma dei carabinieri, consistente in una attività di controllo all’interno delle caserme per evitare la proliferazione e diffusione di droghe o anfetamine. Dati di assoluto rilievo sono stati forniti dai Capi di Stato maggiore della Marina e dell’Aeronautica. Per quanto riguarda la Marina, i dati relativi al 1998 dimostrano che, nel 92 per cento dei casi di assunzione di droga rilevati, si è trattato di cannabis (nessun caso ha interessato l’assunzione di anfetamine); il 3 per cento dei casi ha riguardato gli oppiacei e il 5 per cento la cocaina. Nel 1999 continuano ad essere assenti le anfetamine: sono infatti aumentati i casi di assunzione di cannabis, dal 92 al 97 per cento, e diminuiti quelli di oppiacei, 1 per cento, e di cocaina, 2 per cento. I casi rilevati sono stati distinti tra terra e bordo. Complessivamente si tratta di 226 casi: 164 a terra, di cui 147 unità del personale di leva, 11 della leva prolungata, 4 sottufficiali e 2 ufficiali; mentre per i 56 casi di bordo, 50 hanno riguardato il personale di leva, 5 le unità appartenenti alla leva prolungata e un sottufficiale. Presso l’Aeronautica, nel 1998 sono stati segnalati 191 casi con 231 persone coinvolte, mentre nel 1999 sono stati denunciati 24 casi. I casi riguardano tutto il personale: nel 1999 l’Aeronautica eguaglia, all’incirca, le percentuali della Marina, essendo stato coinvolto un solo ufficiale nel 1998 e nel 1999 e due o tre sottufficiali, di solito sergenti; per il resto degli episodi segnalati, si tratta di personale di leva.

3.3. Le soluzioni prospettate
L’indagine svolta dalla Commissione, sotto un profilo generale, indica la necessità di affrontare con una nuova ottica la problematica della qualità della vita nelle strutture delle Forze armate. La garanzia di una migliore qualità è infatti essenziale, non solo come misura preventiva nei confronti delle diverse forme di scontento e di disagio esistenti nelle strutture militari, ma anche per garantire un innalzamento del livello qualitativo delle nostre Forze armate. Il miglioramento della qualità della vita nelle strutture militari costituisce quindi un obiettivo di vitale importanza, e deve portare all’adozione di iniziative tendenti a perfezionare le strutture, l’organizzazione e le procedure attinenti al sistema di vita delle caserme. Condizione fondamentale per il successo è peraltro un decisivo cambio di mentalità, che deve essere consistente. Bisogna porre al centro del problema un nuovo modello di soldato (che sia quello di professione o, fino a quando il sistema resterà invariato, quello di leva), che richiede una diversa concezione dello spazio e del tempo della vita di caserma. In questo quadro, sono molte e diversificate le soluzioni prospettate nel corso dell’indagine conoscitiva. Vi è, in primo luogo, l’adozione di iniziative (peraltro già avviate da parte di alcune Forze armate) di conoscenza del livello di qualità della vita nelle caserme, come, ad esempio, la predisposizione di questionari. In tal senso, appare opportuno istituzionalizzare la diffusione dei questionari, prevedendo alcuni accorgimenti: i questionari dovrebbero essere assolutamente anonimi e andrebbero compilati non soltanto all’inizio, ma anche al termine del servizio militare, in quanto, se limitati all’inizio della vita militare, rischiano di essere una rappresentazione delle aspettative, mentre appare più importante avere, dalla diretta esperienza degli interessati, segnalazioni circa disfunzioni, disparità di trattamento, o anche suggerimenti, critiche, proposte al fine di migliorare la qualità della vita. Da molti soggetti intervenuti, vengono inoltre considerati prioritari i provvedimenti atti a migliorare le condizioni strutturali legate alle esigenze alloggiative e di convivenza, la cui soluzione rappresenta la premessa per conseguire gli standard necessari per un’accettabile condizione di vita nell’ambito delle caserme. Per ottimizzare gli interventi in tale settore, potrebbero essere ipotizzati nuovi strumenti normativi, che consentano, in un quadro legislativo omogeneo (eventualmente di concerto con il settore dei lavori pubblici), di accrescere l’efficienza e di semplificare le procedure, in tempi coerenti e compatibili con le nuove esigenze dell’esercito del 2000. Un altro settore oggetto di radicale trasformazione dovrebbe inoltre essere quello dei “servizi di caserma”, con particolare riferimento al vettovagliamento, alla pulizia dei locali di uso generale e comune ed alla vigilanza di talune infrastrutture. In una visione dinamica ed aperta dell’ambiente di caserma, andrebbe approfondito il concetto della “esternalizzazione” dei servizi, che molti altri Paesi europei ed extra-europei hanno già risolto: il ricorso a ditte civili specializzate, che possono efficacemente fornire servizi di catering per il vitto, pulizie e funzionalità dei locali, consentirebbe di ottimizzare efficacemente tali attività, liberando nel contempo personale (di leva e soprattutto volontari) da incombenze mal sopportate, in quanto estranee alla sfera professionale, operativa, addestrativa e logistica, con un evidente recupero motivazionale e di orgoglio professionale dei soggetti interessati. A tal fine, vanno intensificate anche le iniziative che prevedono incontri con autorità civili periferiche e locali, anche al fine di trovare una valida soluzione nella ricerca di aree addestrative idonee e nella fornitura di servizi comunali, con particolare riferimento a collegamenti urbani, sconti sui mezzi di trasporto e simili. La Commissione ha poi potuto verificare l’esistenza di una vera e propria questione relativa alle attività ricreative da garantire al personale militare presente nelle caserme. Uno sforzo di innovazione andrebbe infatti realizzato per fornire una serie di strutture ai giovani di leva. Tali strutture potrebbero essere: organismi di comunicazione sociale, incentrati sulle preesistenti sale bar, sale convegno e sale gioco; sale TV, con relative videoteche; strutture e attrezzature sportive; postazioni telefoniche ammodernate; sale attrezzate con personal computer e collegamento ad Internet; sale supporto di audio-visivi per lo studio delle lingue; sale hobby (ad esempio per il modellismo, l’elettronica o altro); sale cinema-teatro; biblioteche e sale polifunzionali per la lettura o per l’ascolto della musica; eventuali punti di ristorazione alternativi al servizio mensa, quali pizzerie o paninoteche, da affidare in appalto a soggetti esterni. Soluzioni realisticamente perseguibili, per alcune di tali attività, potrebbero essere convenzioni con enti o privati, presso cui i giovani militari potrebbero recarsi per coltivare i loro hobbies o nuovi interessi, con oneri a carico dell’amministrazione militare. Per altre iniziative all’interno della caserma, come accennato in precedenza, si potrebbe pensare al ricorso a servizi esterni per la condotta, la guardia e la sorveglianza delle attrezzature e delle attività per il tempo libero, così come sta avvenendo per i servizi di mensa e di pulizia. Un cenno a parte merita la situazione sulle navi della Marina, per le quali si è richiesta la disponibilità di locali di vita più ampi e comodi, tali da soddisfare standard di comfort migliori, anche se non paragonabili a quelli delle navi mercantili e da crociera, ampliando eventualmente gli spazi da destinare alla ricreazione, alle attività del tempo libero e a sale hobby e assicurando forme stabili di collegamento e comunicazione tra i marinai e le proprie famiglie. In tal senso, la tecnologia potrebbe dare un notevole aiuto, anche su navi già in servizio. Si tratterà infatti di dotare le unità di ricevitori satellitari con puntamento automatico, per captare le trasmissioni televisive via satellite, nonché di destinare, almeno in determinati periodi della giornata, alcuni canali delle comunicazioni via satellite ad uso del benessere del personale, per telefonate private o per collegamenti via Internet con le famiglie, da postazioni di computer allestite nelle sale mensa della nave. Un’ultima soluzione prospettata riguarda una maggiore flessibilità, da più parti ritenuta auspicabile, nell’assegnazionedei “servizi di caserma” e nella concessione di permessi e licenze ai giovani di leva, con particolare riguardo a coloro che svolgono il servizio a molti chilometri di distanza dal loro luogo di residenza. Si tratterebbe, in sostanza, di intervenire in due direzioni: garantire una maggiore elasticità negli spostamenti e nei viaggi, anche mediante permessi molto brevi, per tutti quei giovani che, per varie ragioni, sentono il bisogno di avere più frequenti contatti con le loro famiglie o, comunque, con il loro contesto sociale di riferimento. Tale soluzione consentirebbe, forse, di allentare il senso di solitudine psicologica che spesso grava sui giovani di leva, contribuendo anche a rendere più praticabile, per questi giovani, lo svolgimento del servizio militare; affidare la gestione dei permessi e delle licenze (così come dello svolgimento dei “servizi di caserma”) direttamente al personale di carriera che esercita funzioni di comando (preferibilmente agli ufficiali), sottraendone il controllo operativo ai militari di leva e, in particolare, ai cosiddetti “furieri”, i quali, anche a causa della carenza di personale presente nelle strutture, esercitano sempre meno compiti di segreteria ed intervengono, invece, in modo via via più penetrante nei criteri di assegnazione dei servizi e delle licenza ai giovani di leva. Tali figure, infatti, essendo generalmente scelte tra i militari più anziani, rischiano di riproporre le medesime logiche che stanno alla base degli episodi di “nonnismo”, penalizzando le reclute più giovani sia nelle concessione dei permessi che nello svolgimento dei servizi.
Come si può notare dalla complessità dei vari argomenti trattati nel corso dell’indagine, si tratta di una gamma di settori tanto ampia da lasciar intendere chiaramente l’intensità dell’impegno e dei relativi interventi strutturali e normativi da mettere in atto. In questo quadro, il Parlamento è chiamato a dare il proprio contributo di innovazione e di indirizzo, sulla base delle acquisizioni della presente indagine e dell’impegno della Commissione, lavorando proficuamente in collaborazione con il Governo e gli stessi organismi militari, per portare avanti una battaglia di cultura e di civiltà per il miglioramento della qualità della vita nelle strutture delle Forze armate, che sappia coniugare la tutela dei diritti individuali e il raggiungimento di uno strumento militare (sempre più orientato in senso volontario professionale), che sia efficacemente al servizio del Paese.

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