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La fine dell’Arma dei Carabinieri – Parte seconda

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Roma, 2 giu – (di Giorgio Carta) – [icon-pages Leggi la prima parte].

Stia comodamente sugli attenti e mi illustri il suo problema

è ciò che si sente ordinare un appuntato scelto dei Carabinieri a Roma da un colonnello stravaccato nella poltrona del proprio ufficio.

Accanto a lui, un maggiore, accomodato su un’altra poltrona, assiste divertito alla deprimente scena.

Il graduato ha chiesto di conferire col colonnello per conoscere la ragione per cui gli vietano di uscire in turno col suo abituale collega ed ora i due ufficiali superiori si prendono la loro rivincita. L’appuntato, padre di due bimbi, chiede spiegazioni rimanendo marziale sugli attenti ed, alla fine dell’esposizione, il colonnello sprezzante risponde solamente:

lei non ha diritto di avere spiegazioni. Deve solo obbedire. Ora chieda scusa al maggiore ed al sottoscritto“.

L’appuntato esegue ed è accompagnato alla porta. Fine del conferimento gerarchico previsto dal regolamento militare.

La seconda scena si svolge nelle Marche. Uno spettacolo pubblico sta per iniziare e i carabinieri della locale Compagnia hanno alcuni posti riservati in quarta fila. Il maresciallo comandante di Stazione, però, è in amicizia con l’organizzatore dell’evento ed è stato ospitato in prima fila, dove è già accomodato con la moglie.

Arrivato in sala con la propria consorte, il comandante di compagnia si accorge del maresciallo in prima fila e lo chiama da parte. Senza troppi giri di parole, gli ordina di far alzare la moglie e di spostarsi in quarta fila per cedere il posto lui. Il Maresciallo risponde:

non ci penso proprio. Vada lei in quarta fila. La saluto“. Non molto tempo dopo, il sottufficiale viene riformato e lascia l’Arma.

Le scene ora descritte sono realmente accadute e, nel sentirle raccontare dai diretti interessati, ribollisco di rabbia io per loro e penso di essere fortunato a non aver mai patito soprusi simili. Da avvocato, poi, so che non esistono rimedi legali a questi torti se non puoi provare che siano accaduti e, allora, puoi solo raccomandare di tenere duro (ma anche di portarsi dietro un registratore, la volta successiva). In entrambi i casi descritti, i superiori hanno incarichi di responsabilità e, come cittadino, mi allarma che la sicurezza del mio Paese sia demandata a persone del genere.

Anche perché poi, presto o tardi, ti capita di incontrare gli stessi comandanti in contesti pubblici e di vederli, a loro volta, prostrarsi davanti a chicchessia con inchini e sorrisi indecorosi. Fuori dalla caserma, infatti, non si sentono così importanti e, per necessità, appaiono le persone più amabili del mondo. Allora penso, tra me e me, che sarebbe meglio – anche per il loro amor proprio – se diventassero più rispettosi dei dipendenti e meno servili fuori dalle caserme.

Una volta, seduto a cena, un tale mi lodò un alto ufficiale che io sapevo odiatissimo dai dipendenti, per la sua durezza. Meravigliato, chiesi il perché di questo elogio ed egli mi spiegò di avere richiesto all’ufficiale la cortesia di trasferire un giovane carabiniere, suo amico, vicino a casa, e di essere stato accontentato addirittura in giornata. Non mi trattenni dal replicare al commensale che, così facendo, quel comandante aveva fatto un torto al carabiniere che, per titoli ed anzianità, ambiva a quella sede e ne aveva maggiore diritto. Non ci aveva pensato.

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La prima parte di questo articolo ha suscitato molta attenzione e pure qualche critica, che ovviamente accetto. Sono stato accusato da taluni (pochi, ad esser sinceri) di voler screditare un simbolo dello Stato, l’istituzione più amata dagli italiani, e, addirittura, di “sputare nel piatto” dove ho mangiato. Niente di tutto questo, innanzitutto perché l’Arma l’ho servita e amata, senza mai considerarla un piatto in cui mangiare. Il mio precedente articolo, piuttosto, va considerato un atto di amore verso quella stragrande maggioranza di carabinieri (di ogni ordine e grado) che, malgrado tutto, ogni giorno svolgono il loro rischioso servizio ed assicurano la sicurezza di noi cittadini. Una forma di mio parziale risarcimento per tutti i torti loro inflitti che, per mancanza di prove o di strumenti giudiziari idonei, non si riescono purtroppo a riparare.

Sono pure stato accusato di avere già dato per provata la cosiddetta trattativa Stato Mafia (peraltro, già accertata dai giudici di Firenze), cosa che non ho fatto, anche perché i miei assistiti stanno riferendo su un periodo storico distinto e in riferimento a superiori diversi dagli odierni imputati, ai quali – da cittadino – auguro di riuscire a dimostrare l’innocenza. Ho, però, evidenziato che la disciplina cieca e spietata instaurata all’interno dell’Arma, non solo determina il malessere del personale che tutti riconosco (se in buona fede), ma altresì crea l’humus ideale per ogni possibile violazione. Saranno poi i giudici ad accertare se – anche nei casi da me seguiti – siano stati o meno commessi illeciti.

Io non condanno l’istituzione in sé (ci mancherebbe!), ma i singoli che la disonorano con i loro comportamenti indecorosi. Tantomeno denigro la categoria in sé degli ufficiali, composta da persone spesso in gamba che magari non fanno notizia, né peraltro assumeranno mai ruoli di vertice. Del resto, il malessere dell’Arma è determinato sovente anche dagli abusi di sottufficiali o di parigrado compiacenti con i superiori, quindi non è una questione di ruolo e di grado, come spesso qualcuno intende.

Ciò che ho voluto dire è che, a mio modo di vedere, l’Arma come ente autonomo dalla Polizia di Stato non ha più ragion d’essere, e non solo per motivi strettamente economici di finanza pubblica. Credo che siano state irreparabilmente tradite sia la missione originaria della forza di polizia dal volto umano che la leggenda della grande famiglia, a cui non crede più alcun appartenente. I regolamenti militari, infatti, a differenza delle altre normative di settore, conferiscono un potere gerarchico e disciplinare eccessivo ed ormai anacronistico, specie quando viene incautamente attribuito a persone immature, insicure e cialtrone che, tramite esso, possono rendere infelici i sottoposti e le loro famiglie. Mettere sugli attenti l’appuntato che chiede spiegazioni e poi schernirlo seduto in una poltrona, infatti, non è esercizio di azione di comando, ma abuso. Quale servizio si rende, poi, al cittadino tramite uomini così offesi nell’animo? Chi risarcirà mai il graduato padre di famiglia dell’amarezza provata? Chi gli renderà mai giustizia per l’umiliazione subita?

C’è stato anche chi mi ha accusato di parlare di un’istituzione che non conosco, senza sapere che la più grande abilità dell’Arma è proprio quella di rifarsi sempre il trucco, salvando le apparenze. La vicenda dei coraggiosi marescialli Masi e Fiducia (che mi onoro di difendere) è emblematica. Assieme ad altri carabinieri stanno denunciando di essere stati ostacolati dai superiori nella ricerca dei boss della mafia. In un Paese normale ne parlerebbero tutti i giornali, ma non in Italia. Alcuni giornalisti che vorrebbero riferirne, poi, pare siano stati tempestivamente contattati da un solerte generale (lo stesso del “trasferimento in giornata” di cui parlavo sopra) ed addirittura invitati a cena per essere persuasi a non dare credito ai denuncianti.

I giornalisti con la schiena dritta dovrebbero mandarlo al diavolo, ma sono una minoranza. Quando, poi, a stento, escono le notizie, stranamente non vengono riportate nella rassegna stampa del Ministero della difesa. Insomma, così è troppo facile fregiarsi del titolo di “più amata dagli italiani”.

Non biasimo certo chi, nonostante tutto, resta affezionato alla storia dell’Arma. Lo Sono anche io, malgrado tutto. Combatto, però, il fatto che in Italia sia difficile ed addirittura pericoloso evidenziarne le criticità e i malesseri che portano ai frequenti suicidi e, come in alcuni casi che tratto, anche ai reati.

L’ultimo appunto a cui replico è quello secondo cui sarebbe una mia invenzione la generale volontà dei militari dell’Arma di essere incorporati nella Polizia di Stato. Ai critici rispondo che sono loro a non aver capito niente e, forse, a non aver mai conosciuto un carabiniere, se non tramite le fiction televisive, preventivamente approvate dai vertici dell’Arma.

I sorrisi del maresciallo Rocca, quel cordiale rapporto con i superiori, quella bonaria umanità nei rapporti tra colleghi che si vedono nello schermo sono solo finzioni sceniche, raramente rinvenibili nella realtà. Chi la pensa diversamente e si inalbera contro la mia proposta di rottamare l’Arma, non ha visto che uno spot patinato. Il volto autentico l’ha visto e subito, invece, quell’appuntato deriso sugli attenti che chiede invano spiegazioni ed è costretto a chiedere scusa per aver esercitato un diritto previsto dall’ordinamento militare.

carta Giorgio Carta, Avvocato
Specializzato in Diritto militare e per le Forze di Polizia
Ufficiale dell’Arma dei Carabinieri in congedo

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