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Relazione del Segretario aggiunto Emilio AMMIRAGLIA al convegno del 21 Maggio

A conclusione del Convegno del 24 febbraio 2001, che interrompeva il venticinquennale silenzio pubblico della categoria militare, chiedevamo, con dovizia di argomenti, alla politica e ai protagonisti che avrebbero caratterizzato questa legislatura, la responsabilità di farsi carico di una sessione specifica di studio, di approfondimenti e di elaborazioni, idonea a recuperare a rilevanza primaria l’insieme delle questioni che formano la condizione dei nostri militari.

Chiedevamo in sintesi un progetto politico idoneo, ad affrontare le aspettative di tutela dei cittadini in uniforme, rapportandole alla mutata connotazione dello strumento militare, che a partire dagli anni 90 è stato ridefinito negli aspetti strutturali, funzionali, strategici e umani.

Chiedevamo una nuova attenzione e un apprezzamento chiaro in relazione alla specificità della professione militare e una significativa inversione di tendenza nei trattamenti economici da sviluppare al di fuori delle regole contrattuali del pubblico impiego, con un riferimento retributivo al lavoro militare europeo.

Chiedevamo atti di Governo, idonei ad arginare la voragine dei contenziosi amm.vi e il superamento dei tempi biblici nella erogazione dei decreti definitivi di pensione normale e privilegiata.

Chiedevamo chiarezza e trasparenza intorno al fenomeno dell’uranio impoverito e adeguamenti legislativi a sostegno dei militari esposti ai rischi dell’amianto.

Chiedevamo attenzione particolare verso le problematiche insorte in applicazione della legge 216/92 e più in particolare verso quel riordino dei ruoli dei sott.li e volontari, che contrariamente alle larghe attese dei destinatari, rappresentò la madre di tutte le beffe.

Chiedevamo, dopo aver mostrato senza reticenze quanto grande era il fardello delle doglianze dei militari e quanto insostenibile ne era diventato il suo peso, in ragione della tanta indifferenza delle istituzioni e della interessata e riduttiva valutazione del fenomeno da parte della burocrazia militare.

Chiedevamo rispetto e considerazione, dopo aver dimostrato quanto ampio e importante fosse stato il contributo dei nostri soldati nella operazione di riforma dello strumento militare e nelle missioni internazionali di pace.

Nel segnalare i mali e i ritardi che mortificavano la condizione militare fino alla soglia dell’incuranza, diversamente dal risentimento che era legittimo esprimere, ASSODIPRO si fece carico di ricordare il significativo concorso offerto dalla categoria al risanamento del sistema previdenziale pubblico, attraverso il superamento delle pensioni d’anzianità, le penalizzazioni disincentivanti, la riduzione dei servizi figurativi, l’eliminazione dell’ausiliaria per le pensioni d’anzianità, la riduzione graduale della sua rendita e della sua durata e i blocchi contrattuali dei primi anni 90; un portentoso contributo, un sacrificio enorme accettato come sempre con grande compostezza e sicura dignità.

Abbiamo buona memoria della positiva valutazione politica riservata alle nostre argomentazioni così come degli impegni assunti dalle forze politiche intervenute; abbiamo consapevolezza dei tanti sinceri apprezzamenti dimostratici così come delle tante lusinghe interessate in ragione del clima elettorale dell’epoca.

Da tanta simpatia non è nato tuttavia un progetto di attenzione per la condizione militare, né l’inversione di tendenza rispetto alla indifferenza complessiva che chiedevamo di superare; dalla constatazione di ciò, come dalla consapevolezza dell’aggravarsi del disagio che investe la fascia più bassa della scala gerarchica dei nostri militari, le ragioni di questo nuovo appuntamento.

Un appuntamento che si inserisce all’interno di un dibattito politico nostrano, sensibile ai grandi temi della pace minata dal conflitto in Iraq; un dibattito che costringe a forti preoccupazioni circa la tenuta del diritto e delle istituzioni internazionali, che scuote le coscienze interrogandole sulla opportunità e sulle motivazioni del conflitto,sui benefici che arrecherà alle popolazioni liberate dal tiranno e sulle tante ricostruzioni da effettuare.

Un dibattito che registra la partenza dei nostri soldati per l’Iraq e il suo lento declino verso i libri di storia.

Spenti i riflettori sulla guerra, lo specifico militare sarà ricondotto all’ordinaria gestione delle cose comuni e da queste torneranno a parlare i problemi degli uomini militari accantonati dagli eventi, dalle tante priorità della politica e da una miopia provinciale che non vede quanto grandi siano le distanze che ci separano dai modelli militari delle più evolute democrazie occidentali e quanti ritardi in ragione di ciò si sono accumulati, aggravando ulteriormente la malattia della condizione militare.

Da oltre un ventennio il Parlamento Europeo attraverso risoluzioni e raccomandazioni (l’ultima delle quali, la 1572 dello scorso settembre) continua ad esortare gli stati membri affinché le legislazioni nazionali riconoscano ai militari di professione, in tempo di pace, la facoltà di esercizio dei diritti associativi e sindacali, a tutela dei loro interessi professionali.

Lo sforzo compiuto dalla politica comunitaria, nel trattare la questione militare, tende ad una visione unitaria delle strategie di intervento e alla costituzione di una forza di sicurezza sopranazionale, nonché alla unificazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali dei militari, la cui garanzia di esercizio è ritenuta di vitale importanza per le costituende FF.AA. europee.

A tale assunto si arriva perché il dibattito politico europeo ha reso visibili le differenze dei diritti e delle libertà di cui godono i soldati dei diversi stati membri e le diverse sensibilità e preoccupazioni esistenti in relazione ad esse; da ciò l’esigenza del loro superamento per garantire uguaglianza, sicurezza e stabilità agli uomini, alle popolazioni e alle istituzioni.

Un disegno serio che conferisce dignità primaria al cittadino in uniforme, rendendolo protagonista attivo dei cambiamenti che investono lo scibile militare, le società e le istituzioni da costruire e da proteggere.

Della questione di aggiornare le legislazioni nazionali, per farle corrispondere a più evoluti livelli di tutela della condizione lavorativa, si occupò inoltre il diritto internazionale dell’OIL con la convenzione 151 del 1978, relativa alla protezione del diritto di organizzazione e alle procedure per la determinazione delle condizioni d’impiego nella funzione pubblica.

La Conferenza Generale dell’OIL, nel richiamare la Convenzione sulle libertà e la protezione del diritto sindacale del 1948, la Convenzione sul diritto di organizzazione e di contrattazione collettiva del 1949 e successive sue disposizioni, nel prendere atto della considerevole espansione delle attività della funzione pubblica (avvenuta in molti paesi membri), constatava che gli atti richiamati non contemplavano la tutela e la disciplina di diverse categorie di dipendenti pubblici; da ciò la Convenzione 151 rispondente alla necessità di costruire SANE RELAZIONI DI LAVORO tra le autorità pubbliche e le organizzazioni dei pubblici dipendenti.

Sensibilità e preoccupazioni che servono ugualmente a rimarcare, come meglio vedremo più avanti, lo scarto esistente fra quanti si occupano con lungimiranza dei diritti degli uomini e quanti credono che questi debbano recedere nei confronti della stabilità di un ordine che tutto deve regolare in funzione della sua immodificabilità.

Lo specifico militare relativamente alla sfera di applicazione della nuova normativa internazionale dell’OIL è trattato al 3° comma dell’art. 1 che recita: “la legislazione nazionale determinerà la misura in cui le garanzie previste nella presente Convenzione si applicheranno alle FF.AA. e alle Forze di Polizia”.

Alle legislazioni nazionali veniva quindi rimessa la potestà di disciplinare la misura di applicabilità del diritto di organizzazione in ambito militare, attraverso una estensione più o meno ampia delle garanzie della nuova Convenzione che, ratificata secondo le procedure previste dal nostro sistema legislativo, è divenuta normativa di Stato mediante la legge 862 del 1984.

Date le premesse, riferite ai ritardi che la nostra legislazione mostrava nel trattare i diritti di tutela dei militari, il buon senso, una decente ragionevolezza e una modesta azione riformatrice avrebbero dovuto optare per un grado di accoglimento e di disciplina della Convenzione diversi dallo zero.

QUESTO INVECE E’ STATO.

A nulla sono servite le richieste dell’OIL che tendevano a rimuovere evidenti squilibri nelle relazioni di lavoro; per lo specifico militare a nulla è servito che la Convenzione contenesse particolari protezioni del diritto di organizzazione, che erano e sono in netta antitesi con lo status quo delle RR.MM. che si voleva e si vuole perpetuare.

Eppure, nonostante la tanta protervia subita, quegli atti continuano ancora a parlare indicandoci un percorso che illuminano con la chiarezza delle proprie previsioni.

La Convenzione 151 all’art.5 prevede che le organizzazioni dei dipendenti pubblici dovranno godere di una completa indipendenza nei confronti delle autorità pubbliche e di una adeguata protezione contro ogni atto d’ingerenza da parte delle autorità pubbliche nella loro formazione, nel loro funzionamento e nella loro gestione.

Considera atti d’ingerenza, le misure tendenti a promuovere la creazione di organizzazioni di pubblici dipendenti sotto una autorità pubblica o a sostenere delle organizzazioni di pubblici dipendenti con mezzi finanziari o altri, con l’obiettivo di porre tali organizzazioni sotto il controllo di una autorità pubblica.

Non occorre fare grandi sforzi di immaginazione per accostare l’ingerenza definita dal diritto internazionale alle nostre RR.MM.

Ciò che il diritto internazionale vieta di fare, per il nostro contesto diventa condizione irremovibile.

Dalla stoltezza che mutila le RR.MM. nei caratteri propri di un decente strumento di tutela, quali quelli dell’autonomia organizzativa, gestionale, funzionale e finanziaria e dalla loro collocazione all’interno all’ordinamento che ne imbriglia ogni espressività, le cause prime ma non esclusive che determinano gli effetti perversi della loro efficacia e il disagio che i militari continuano inutilmente a segnalare.

Che il disagio dei militari nasca dal modello di tutela messo in campo, dai suoi limiti genetici segnalati, dalla carenza di autonomi supporti di studio e legali e dalla impossibilità di ricorrere ad esterni servizi di consulenza, non è solo l’opinione di chi ne aveva preavvertito l’insorgenza, capendone in tempo lo scarso profilo di incisività e le difficoltà operative che avrebbe incontrato;è anche e soprattutto il frutto di una lettura non approssimativa dei fatti e dei risultati, che in combinazione si incaricano di dimostrarci tutta la passività del bilancio che questo modello di tutela può presentare nel suo ventennale esercizio.

Un bilancio in passivo, che non è determinato dagli uomini che nelle RR.MM. hanno creduto e che in esse hanno riversato impegno, energie e passioni; un bilancio in passivo semplicemente perché l’esigenza di tutela vera è stata sacrificata in nome di un bene da custodire, l’ordine gerarchico-disciplinare, da tutti riconosciuto, da nessuno minacciato e dalla legislazione protetto.

Dicevamo dei fatti e dei risultati che rendono negativo il bilancio delle RR.MM.

I decreti delegati di cui alla legge 216/92 che dovevano armonizzare le procedure di concertazione e il riordino delle carriere, delle attribuzioni e dei trattamenti economici per conseguire una disciplina omogenea fra gli appartenenti alle FF.AA. e alle FF.PP. ad ordinamento civile e militare, diversamente dalle aspettative sono risultati essere la fonte di una querelle che non intende rientrare.

Alla concertazione sono stati ammessi, in un’ibrida collocazione, gli Stati Maggiori che per assurdo arrivano a firmare in sostituzione dei COCER i documenti concertati; l’omogeneizzazione delle carriere e aspetti correlati, punto di approdo di una ventennale rincorsa, come tristemente noto è ancora lungi dall’essere raggiunta.

E’ chiaro a tutti che l’intromissione degli Stati Maggiori nella concertazione rappresenti una evidente anomalia e che essa non derivi dal caso; è la posizione di massima rendita, è l’interposizione fra le parti in un ruolo che si trasfigura a seconda degli interessi da intercettare.

Parte della delegazione ministeriale trattante a volte; parte delle RR.MM. nella trattativa e nella elaborazione delle richieste da concertare, altre.

Uno, nessuno e centomila, una logica asfissiante che limita in basso autonomia, espressività, capacità negoziale e quindi i risultati.

Da quale parte del tavolo negoziale debbano stare gli Stati Maggiori e per quale funzione da svolgere dovrebbe essere chiaro, se si riflette sul fatto che il confronto deve avvenire fra il datore di lavoro e gli eletti rappresentanti dei lavoratori in uniforme.

Agli Stati Maggiori in ragione di ciò non può essere affidato altro compito che quello di supporto tecnico e di consulente del datore di lavoro, ovvero del Ministero della Difesa; diversamente si arriva all’inquinamento della trattativa con i risultati che abbiamo poc’anzi citato.

Nel merito del riordino delle carriere e aspetti correlati dei non direttivi, che è questione che si trascina da ormai 11 anni, è utile osservare che nello stesso arco di tempo per i direttivi delle FF.AA., attraverso progetti e scorciatoie legislative (che non hanno nemmeno meritato l’acquisizione del previsto parere delle RR.MM.), si è provveduto risolutivamente con almeno 4 interventi che hanno portato la categoria alla completa omogeneizzazione con gli omologhi delle FF.PP.

Una categoria è quindi ancora in attesa di veder liberato il prigioniero del riordino delle carriere come aspetto fondamentale della omogeneizzazione; l’altra di questa ne gode già i frutti.

E’ da questa constatazione, che è il risultato di un’attenzione e di una sensibilità a senso unico, che trae origine il malessere che pervade larga parte della comunità militare; è da questo che i più ricavano la conferma di essere figli illegittimi di un rapporto che non intende aprirsi in una famiglia allargata.

Non è quindi l’acredine per quanto elargito ai direttivi delle FF.AA. (obiettivo comunque da raggiungere nella logica del bilanciamento perequativo tra funzioni e riconoscimenti degli appartenenti ai comparti Sicurezza e Difesa) che alimenta e nutre il malcontento dei cosiddetti quadri o gregari; NO! è dal toccar con mano la discriminazione e la regia, che regolano con evidente arroganza e con sicura superficialità i meccanismi e la tempistica degli interessi concreti dei nostri militari, che salgono forti l’indignazione, la denuncia e la protesta.

E che dire degli interventi ripetuti nella ridefinizione dell’albero gerarchico dei gradi che investe solo in non direttivi attraverso una modificata denominazione della posizione apicale?

E’ difficile leggere in questa manipolazione l’intento di far scomparire il pari grado in servizio (per quanti sono in ausiliaria) che è il riferimento sul quale si commisura la relativa indennità legata alla retribuzione fondamentale del grado?

E’ difficile leggere che sulle progressioni di carriera dei non direttivi arruolati ai sensi e per gli effetti della legge 212/83 e stravolte in termini penalizzanti dai successivi riordini, si stanno addensando ritardi che andranno a modificare sostanzialmente retribuzioni di servizio e future pensioni?

E in che chiave bisogna interpretare i provvedimenti di favore che recuperano, ai fini del collocamento in ausiliaria e quindi di pensione, i soli direttivi costretti alla posizione di riserva per effetto dei blocchi degli anni 96/97?

E’ tanto cervellotico ritenere che per fini di equità al meccanismo dei 4 anni dal limite di età, posto a base giustificativa del provvedimento, potessero essere associate le posizioni dei non direttivi che si trovavano nelle medesime condizioni?

Per questi ed in particolare per coloro che all’epoca potevano far valere la massima anzianità contributiva e oltre quale norma di recupero è stata studiata? NESSUNA.

Abbandonati a se stessi e alla loro incolpevole diversità.

E che dire dei provvedimenti che hanno modificato l’impianto normativo delle indennità operative e dell’orario di servizio o che hanno introdotto l’alta valenza operativa?

Cosa si legge dentro tanto rimescolamento se non la volontà di spingere in alto indennità e retribuzioni delle posizioni gerarchiche apicali e di mitigare spazi conquistati e progressioni retributive dei soliti non direttivi?

Ed è difficile capire, date le premesse, che la tendenza a verticalizzare ogni istituto retributivo la farà ancora da padrone nei prossimi contratti e nel nuovo inquadramento nei parametri?

E come saranno pagate queste tendenze dagli ultimi arrivati, dai nostri volontari che rappresentano nel mondo il grande cuore italico a sostegno della pace?
Aspettavano risposte certe in relazione ai trattamenti economici, alle progressioni di carriera, alle condizioni d’impiego, allo stato giuridico, agli alloggi e alle tante incertezze per il loro futuro.

Restano invece, nonostante la più illusoria propaganda, ai margini di una attenzione che anche in questo caso non ascolta la saggezza Europea, che chiede di rendere competitiva la professione dei nostri volontari rispetto al mercato del lavoro.

Restano ai margini di una famiglia che fatica a lubrificare i meccanismi dell’accoglienza verso questa straordinaria risorsa; nel mortificare le loro speranze, la loro dignità e i loro bisogni essa per assurdo arriva a compromettere la propria coesione e la sua stabilità.

Non è un caso infatti che oggi da qualche parte si parli di rimuovere la sospensione della leva obbligatoria. Per quale ragione e in virtù di quali preoccupazioni si potrebbe arrivare a tanto dovrebbe essere chiaro a tutti, se si comprende che le difficoltà nel reclutamento dei volontari sono la conseguenza di una condizione non adeguatamente apprezzata.

Rispetto a tutto ciò come deve essere considerato il ruolo svolto dalle RR.MM.? ININFLUENTE.

Nulla hanno potuto; a nulla è servita la loro opinione contraria rispetto a tanti scellerati provvedimenti; nulla ha modificato il rifiuto a firmare unitariamente gli ultimi rinnovi contrattuali.

Peso specifico di un diverso strumento di tutela, lungimiranza, buon senso, equità e ragionevolezza avrebbero dovuto condurre ad esiti diversi.

A contrastare la dimostrata necessità di riavviare il cammino delle riforme, verso nuovi orizzonti di tutela, ritroviamo oggi i pregiudizi del passato, i fedeli custodi dell’ortodossia settantottina, gli ingegneri del catastrofismo ordinamentale, i sostenitori della inesistenza delle condizioni politiche, gli addetti alla stampa di veline segnalanti compromettenti associazioni non autorizzate, dalle quali è doveroso stare alla larga; il vuoto incartato di una scomposta propaganda che tutto promette di risolvere e i soliti opportunisti di stagione che la vendono per miserabili ambizioni personali, confidando nella beata superficialità dei sudditi ignoranti.

Nonostante tanto ostracismo continueremo con pazienza ad offrire alla necessità di riaprire un dibattito politico sulla condizione militare i segni di una idealità che nessuna costrizione potrà confinare nella memoria di un’epoca passata, e la certezza che essa è al servizio di una causa giusta e nobile che merita di essere vissuta e sostenuta.

Lo faremo da quella posizione di legalità, acquisita e protetta dalla legge che nessuna cervellotica insinuazione potrà confinare nelle caverne della emarginazione; lo faremo in compagnia della solidarietà internazionale dei 500.000 colleghi europei che insieme a noi formano EUROMIL, la nostra famiglia allargata che riunisce il mondo associativo militare della maggioranza dei paesi comunitari oggi qui rappresentata dal suo massimo esponente.

Lo faremo infine per le istituzioni e per la democrazia, nella consapevolezza che ad esse necessiti sempre il contributo partecipativo della nostra categoria.

AS.SO.DI.PRO.
Il Segretario Gen. Agg.to
Emilio Ammiraglia

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